Quanto può diventare pericoloso, per Donald Trump, accanirsi contro la vedova di un’icona (inter)nazionale come Steve Jobs? Oppure, i suoi strateghi hanno identificato nelle invettive contro Laurene Powell Jobs una mossa azzeccata contro il solito establishment? La risposta arriverà a novembre, dopo lo spoglio dei voti, ma per ora la nota a margine sui futuri libri di storia di questa campagna elettorale per le presidenziali Usa 2020 non è una contesa Trump vs Biden ma Trump Vs Le donne che appoggiano Biden. All’indomani della convention democratica che ha decretato la candidatura di Joe Biden è stato chiaro da subito che, a prescindere dalle sue qualità e dall’esperienza di vicepresidente con Barack Obama, parte della luce del candidato dipende da fonti femminili orientate generosamente verso di lui. Sua moglie Jill forse lo batte in popolarità, e mai c’è stato un candidato alla vicepresidenza così famoso nel mondo quanto Kamala Harris. Ci sono gli endorsement di qualità, da quello di Michelle Obama che molti avrebbero voluto candidare al posto di Joe Biden, e quello di Alexandra Ocasio-Cortez che molti indicano come presidente di un non lontano futuro.

E poi c’è Laurene Powell Jobs, 56 anni, filantropa in prima linea. L’attacco che le ha rivolto Donald Trump è partito – as usal – su Twitter ed è scaturito dalla donazione di 500mila dollari che la vedova Jobs ha versato per la campagna elettorale di Joe Biden. La reazione di Trump sul social è stata molto aggressiva: “Steve Jobs non sarebbe contento di sapere che sua moglie sta sprecando i soldi che le ha lasciato in un fallimentare giornale della sinistra radicale gestito da un truffatore (Goldberg) che sputa NOTIZIE FALSE E ODIO”, il giornale in questione è Atlantic, nelle edicole dal 1857, che fra le altre cose ha svelato le recenti frasi di disprezzo che il presidente magnate ha rivolto in privato contro i reduci di guerra. Trump ha concluso il messaggio aizzando i suoi follower contro la donna: “Chiamatela, scrivetele, fatele sapere cosa ne pensate!!!”. È comprensibile che a poche settimane dal voto, 500mila dollari siano una somma che fa così gola da scatenare la rabbia. Le casse piene di un comitato elettorale, negli Stati Uniti, possono permettere di compiere scelte determinanti, soprattutto negli swing states (quelli che alternano il voto fra Repubblicani e Democratici). Una somma che piacerebbe soprattutto a Trump, che ha già sperperato i fondi raccolti fra i sostenitori, spesi soprattutto in un entourage super stipendiato e viziato dalle comodità che solo nel mese di agosto gli è costato 365 milioni di dollari. Un imprevisto che costringerà il presidente ad attingerne altri 100 dalle sue casse personali, per arrivare a novembre.

Ma oltre all’incitamento a molestare Laurene Powell Jobs tempestandola di messaggi, oltre a insinuare che la gloriosa testata Atlantic persegua la missione mirata di diffamare il presidente (e la donazione a Biden da parte della sua maggior azionista, lady Jobs, ne sarebbe la prova secondo lo youtuber attivista trumpiano Charlie Kirk) ciò che ha irritato molto l’opinione pubblica dem è la prima parte del contenuto del messaggio: quella in cui Trump si riserva il diritto di sapere, meglio della vedova stessa, cosa avrebbe detto Steve Jobs sul comportamento della moglie, una sorta di mansplaining elevato al quadrato. Sono molti anche i commentatori su Twitter che lo accusano di paternalismo patriarcale, perché una frase del genere avrebbe senso rivolta a una bambina (qualcosa come: “se lo sapesse papà”), e non certo a una donna matura nella piena facoltà di intendere e di volere, che gestisce con serenità e come meglio crede il patrimonio che il marito si è fidato ciecamente a lasciarle.

La vedova del co-fondatore di Apple, che è la trentesima persona più ricca del mondo con un patrimonio di 33,3 miliardi di dollari non ha rilasciato nessuna dichiarazione in risposta. Lo ha fatto invece alla CNN, quasi con noncuranza, Jeffrey Goldberg, direttore di Atlantic: “ho passato gran parte della mia carriera di giornalista a occuparmi di dittature in Medio Oriente, quindi mi è familiare questo tipo di discorsi. Sono una minaccia, hanno lo scopo di intimidire. (…) L’intensa frustrazione di Trump, che porta a queste esplosioni, deriva dal fatto che, a differenza dei dittatori di altri paesi, non può semplicemente chiudere i media che non gli piacciono. Quindi è nostro dovere continuare a perseguire la verità, non importa quello che dice di noi”.