Il dibattito sul perché si prende il cognome del padre alla nascita, ma quello della madre praticamente mai, dura da molto a lungo. Circa 45 anni, dalla prima riforma del diritto di famiglia in Italia nel 1975. Ma un'ordinanza della Corte Costituzionale urge i legislatori alla riscrittura di una norma più inclusiva, contemporanea e al passo con i tempi, per i figli nati fuori e dentro il matrimonio. Tutti. È una storia a tappe lente, ma necessaria per dichiarare pubblicamente che la attuale norma che automatizza l'assegnazione del cognome paterno alla nascita è, di fatto, incostituzionale: "Retaggio di una concezione patriarcale della famiglia" e di "una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna" si legge nell'ordinanza n.18 redatta dalla Consulta sul giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 262, primo comma, che disciplina l'assegnazione del cognome ai figli nati fuori dal matrimonio.

L'incostituzionalità è stata rilevata nel mancato rispetto degli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione. Ill caso preso in esame dalla Corte riguarda l'attribuzione del cognome materno ad un figlio nato fuori dal matrimonio ma riconosciuto da entrambi i genitori, in corso al Tribunale di Bolzano. Gli stessi giudici bolzanini si erano rimessi alla Consulta per la questione di legittimità dell'articolo 262. La Consulta stessa l'ha considerata pregiudiziale, nel senso che il giudizio non può essere deciso senza quella norma e che, ove intervenga la pronuncia sulla norma della Corte Costituzionale, la disposizione, in tutto o in parte, verrebbe dichiarata illegittima e nel giudizio bolzanino si potrebbe pronunciare una decisione conforme alla volontà dei genitori. "Non può impedire al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite" si legge nell'ordinanza ufficializzata l'11 febbraio 2021. La "prevalenza del patronimico", scrive la Consulta, è incompatibile con il valore fondamentale dell’uguaglianza "riconosciuta, ormai da tempo, dalla stessa Corte, che ha più volte invitato il legislatore a intervenire". Un monito per ricordare ancora una volta al Parlamento di dover urgentemente aggiornare le norme in corso con leggi nuove, come già avvenuto nel 2016 dopo la sentenza n.286 riguardante il caso di una famiglia di Genova, che si era vista rifiutare l'attribuzione del doppio cognome dall'ufficiale di stato civile. Considerata tra le più importanti se non miliari pronunce sull’uguaglianza di genere di fronte alla legge nell'attribuzione del cognome ai figli, quella sentenza della Corte Costituzionale aveva già fatto notare l’incostituzionalità dell'attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, norma discriminatoria ancora presente nell'ordinamento giudiziario italiano e già a rischio condanna da parte dell'Unione Europea dopo la firma del Trattato di Lisbona, che sancisce la perfetta uguaglianza tra uomini e donne, e dopo la decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) relativa non solo alla possibilità di aggiungere il cognome della madre (quando i genitori sono concordi), ma anche di eliminare direttamente il patronimico facendo prevalere la volontà di entrambi per ogni soluzione. La Consulta si è già collocata nel buonsenso dei nuovi tempi. Adesso mancano solo "i legislatori".