Ogni vulcano ha la sua personalità. Qualcuno sbuffa, qualcuno sonnecchia, alcuni si ergono sontuosi e percorribili in lungo e in largo, altri si mimetizzano timidi nella coperta del mare. Con i suoi 3340 metri di altezza, l'Etna è una vetta fatta e finita: 'a muntagna. Un femminile singolare che ne esalta la sfuggente solidità, il mistero assoluto che si cela nei crateri che lo accompagnano fino al cielo. Quando si sveglia, l'Etna sbadiglia, borbotta, racconta di sé ai poeti che ne carpiscono l'essenza romantica. Ma parla specialmente ai ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che codificano i segreti lirismi del vulcano più seducente e ammirato d'Italia. C'è qualcosa di magnetico nell'Etna di Giovannella Guendalina Maria Serena Pecoraino, Rosa Anna Corsaro, Simona Scollo e Claudia Corradino. Quattro ricercatrici siciliane, donne di scienza di un poker di prospettive sulla materia più affascinante: cosa significa studiare i vulcani. Il singolarissimo Etna in particolare, nel pieno di un'attività eruttiva che fa slittare il collettivo virtuale fissato tra una missione e l'altra. Le definiscono così, missioni, una sfumatura liturgica del lavoro sul posto, il sale della vocazione scientifica.

La vulcanologia non è una scienza unica, è l'intersezione felice di discipline. La dottoressa "chiamatemi Guenda" Pecoraino, geochimica di Palermo, ai vulcani è arrivata per caso, post aspirazioni in paleontologia dei vertebrati. "Amavo la chimica, passare alla geochimica è stato semplice. Ho cominciato a seguire lezioni di vulcanologia e geochimica applicata ai fenomeni terrestri". Con le sue indagini anticipa gli eventuali risvegli dell'Etna: "La mia specialità è campionare acque e gas fumaroli in aree vulcaniche per capire l'approssimarsi di una eruzione, determinare le temperature e le pressioni di un sistema magmatico profondo, o di un sistema termale tra la camera magmatica e la superficie terrestre". Tutt'altra formazione ma stessi inizi casuali per Simona Scollo, fisica ambientale di Siracusa: "Ho sempre avuto una passione innata per la natura, per il mare. A 18 anni volevo fare qualcosa che lo riguardasse ma mi piaceva anche la fisica. Ero la tipica secchiona, studiavo tantissimo. Al terzo anno di università decisi di prendere il ramo geofisico-ambientale, l'anno della tesi partecipai ad un incontro con un ricercatore dell'INGV appassionandomi all'idea di studiare i vulcani. Arrivò l'eruzione dell'Etna del 2001: andavo con la macchina a raccogliere i dati che mi servivano pregando i carabinieri che mi facessero passare" sorride.

"L'Etna è una presenza che fa parte della nostra vita"

racconta la terza voce in capitolo, Rosa Anna Corsaro, geologa laureata a Catania: "Per chi ama la natura questo vulcano è un faro, un punto di riferimento. Già al liceo, come Simona, amavo andare in giro e mi sono innamorata del vulcano: non mi interessavano gli aspetti botanici e faunistici ma le rocce sì, e geologia per me significava essenzialmente vulcanologia" racconta. Specializzazione, l'intrigante petrologia: "Studio la natura del magma, se cambia nel tempo e come. Le rocce vulcaniche sono l'unico modo diretto di poter conoscere quello che sta dentro il vulcano, le testimoni di ciò che c'è, una finestra aperta sull'interno". L'ultima ad intervenire è la più giovane, Claudia Corradino, altro background: "Io sono ingegnere elettronico, la mia tesi triennale era su un sistema stand alone energetico per l'area sommitale dell'Etna, cioè un sistema autonomo che sfrutta le fonti di energia per fornirla ai sistemi di monitoraggio delle stazioni" chiarisce subito. "Mi sono specializzata in ingegneria dell'automazione, che è un jolly per diversi settori e tecniche da applicare in vari ambiti. Oggi mi occupo di tecniche automatiche di monitoraggio dallo spazio dei fenomeni eruttivi, sfruttando le immagini satellitari: integrano i dati acquisiti da terra fornendo una copertura spaziale estesa per il monitoraggio dello stato di attività del vulcano". Dall'alto, dal basso, da dentro e da fuori, il vulcano è al centro di tutto.

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Superare le differenze e cooperare è un tema che alle ricercatrici sta molto a cuore, nonostante spesso si pecchi si autoreferenzialità tra i singoli ricercatori. "Un osservatorio vulcanologico è il sito ideale: lavoriamo sugli aspetti complementari di un oggetto complesso ed essenziale come un vulcano" spiega Corsaro. "La condivisione è essenziale, siamo la mano destra e sinistra della scienza. Vediamo cose differenti, mettendo insieme tutti i dati possiamo capire che cosa succede ad un vulcano" risponde Pecoraino. "Il magma che risale dà segnali geochimici e sismici. Quando c'è l'eruzione, Rosa Anna studia pietre e granelli, con l'aiuto di Claudia registriamo i dati in remoto, poi c'è lo studio del pennacchio di dispersione su cui interviene Simona". La parrucchiera dell'Etna, risata generale: ma lo studio dei fenomeni associati ai vulcani è un servizio per la collettività. L'osservatorio etneo fornisce pareri scientifici al dipartimento di Protezione Civile per le decisioni operative: le ordinanze si basano su questo lavoro di raccolta di tutti i dati a disposizione, da quelli di terra (a rischio danneggiamento) a quelli satellitari "fondamentali per valutare la pericolosità e mitigare il rischio sulla popolazione e le infrastrutture associato all'evento", riassume Claudia Corradino. Il primo confronto, però, è sempre quello reale con l'esuberanza dell'Etna. "Siamo fortunati perché abbiamo visto una quantità di eruzioni, anche dal vivo, che molti vulcanologi nel mondo non hanno visto" riconosce Simona Scollo. La muntagna si fa percorrere da tecniche di analisi innovative e interventi di studiosi lontani. Non tutti i vulcani italiani sono così scontrosamente collaborativi, anzi: "Ogni vulcano è diverso dagli altri, ha le sue peculiarità: quello che vale per l'Etna non è detto che valga per il Vesuvio, Ischia, Pantelleria, Vulcano. Ciascuno va studiato in maniera particolare. L'Etna lo vedi per intero, lo studi da ogni punto di vista; le isole vulcaniche invece sono vulcani molto grandi, si vede l'ultimo pezzettino ed è tutto molto più complesso. Poi ci sono anche i vulcani che non eruttano mai o non hanno eruttato in tempi recenti, come quelli che studio io" ride Pecoraino, confessando che alla lunga la mancata conferma della teoria elaborata è un po' un dispiacere. Ci si consola con il fascino attrattivo unico, profondo, delle eruzioni dell'Etna, cui ciascuna dà la propria valenza personale: "Se osservo una fontana di lava penso ad un lavoro, una soluzione ad un quesito, anche senza prendere delle misure mi ricarica e mi rilassa" confessa Scollo.

L'Etna in eruzione è uno dei vulcani più belli del mondo.

risponde sognante Guenda Pecoraino. "È bello anche l'odore della lava, il profumo del vulcano. È difficile descriverlo, ma sa quasi di biscotto. E il rumore della colata quando si muove... È emozionante, quasi come guardare il mare. Per non parlare delle fontane di lava o dell'attività stromboliana, sono veramente forti, ti lasciano senza fiato". Concorda Rosa Anna Corsaro, evocando che rumore fa l'Etna in eruzione: "Sembra che si rompa del vetro. Ma devi essere lì e sentirlo, così come la potenza delle detonazioni. Quando vai sui crateri per i sopralluoghi, ti rendi conto che sei inesistente, sei nulla, meno di niente. Pensiamo di essere al centro del mondo, in un delirio di onnipotenza, ma le forze della natura nei loro molteplici aspetti ti aiutano a ripensare che sei solo ospite di questo pianeta". Si può osare un parallelo tra la potenza delle eruzioni vulcaniche e l'attuale discussione dirompente sul lavoro delle donne di scienza? Sì, specialmente quando si discute delle posizioni di rilievo per le donne scienziate oggi. Poche e gravate da discriminazioni a volte minuscole ma significative, tappe di un rallentamento subito dalle donne nelle materie STEM. Sono le due ricercatrici della generazione pionieristica a rispondere per prime sull'argomento: "Non mi è mai stato detto tu sei femmina e questa cosa non la puoi fare, però si respirava nell'aria" conferma Guenda Pecoraino. "In geologia devi camminare molto, usare il martello, la maschera antigas... Per dimostrare quello che ero io, ho dovuto fare un lavoro cento volte più pesante di quello che facevano i miei colleghi, soprattutto all'inizio della gavetta che ero l'unica ricercatrice dell'istituto. Un minimo di discriminazione c'è stata, anche adesso i progetti per la maggior parte sono gestiti da uomini". Concorda Rosa Anna Corsaro: "Quando ero ragazza c'era una diminuzione di quello che facevo. Se un maschio fa una cosa è bravo, una donna no. Non c'è stato un incoraggiamento, ecco". Claudia Corradino porta la propria esperienza con un tratto molto tipico: "A ingegneria, un ambiente maschile anche per quanto riguarda i docenti, passavo un esame con risultati importanti e i colleghi dicevano che ero passata perché ero donna. Questo tipo di atteggiamento mi ha sempre dato molto fastidio. Ad oggi non credo ci sia ancora l'uguaglianza di genere: siamo lontani anni luce". Alcune aree sono un filino più virtuose: "Devo essere sincera, a fisica questa differenza non l'ho mai avvertita" interviene Scollo. "Mi reputo fortunata: nei concorsi nazionali le regole sono pubbliche, allo scritto non si firma con nome e cognome, e già questo toglie la discriminazione. Si guardano il curriculum e le competenze". Non è tutto oro quello che sembra luccicare pubblicamente: "A livello locale do ragione alle colleghe: se un progetto è fatto bene da un maschio, significa che lui è un genio, per me non è uguale. Però sono stata molto stimolata anche dalle mie colleghe donne, ora che posso scegliere sto lavorando molto con le donne per modi di vedere simili, mi sento più compresa e valutata. Mi infastidisce la competizione: nella ricerca non ci deve essere, la ricerca richiede di mirare all'obiettivo e si può fare solo lavorando tutti in gruppo".

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Ostacoli piccoli, e ostacoli enormi: a scoperchiare l'ultima discriminazione è Rosa Anna Corsaro con un tema scottante che riguarda le missioni. "I tecnici che comprano l'abbigliamento non hanno ancora capito che maschi e femmine hanno caratteristiche fisiche diverse. L'ultima fornitura l'ho restituita perché il cavallo dei pantaloni mi arrivava alle ginocchia, non potevo camminare, e nella giacca, che deve essere aderente per requisiti tecnici, ci stavo cinque volte. Non è un messaggio che passa facilmente, lì c'è la vera discriminazione" racconta accorata. Replica Pecoraino: "Se un uomo venisse con pantaloni e giacca da donna ci sarebbe una rivoluzione, tutti capirebbero la differenza. Nel nostro caso invece non la capisce nessuno. Mi sono occupata una volta di comprare vestiario per tutti, l'unica in cui ho avuto abiti per me. L'acquisto di istituto, però, si basa su una misura unica senza distinzione.

L'abbigliamento tecnico per donne esiste, ma non lo comprano.

Per Corsaro questo esempio è lo specchio della società: "Le ragazze sono preparate, persino più brave dei maschi nelle università, e nelle fasce iniziali della carriera partono con grande slancio. Ma più avanti si va in carriera, meno dirigenti ci sono. Anche a livello di Ente, gli studi dell'ufficio che si occupa della parità di genere lo hanno sottolineato: le donne non arrivano a fasce apicali, per consuetudine e perché si pensa sempre all'uomo per determinate cose. Un esame ce lo dobbiamo fare, noi popolazione femminile, spesso ci tiriamo indietro". È il discorso sulla difficoltà occupazionale e professionale delle donne nella fascia d'età sandwich, tra i 35 e i 50 anni, in cui si trovano a dover far spazio al ruolo di caregiver di figli e genitori a discapito della carriera. "Questo è un fatto di organizzazione del sistema sociale: la donna è ancora quella che si occupa della famiglia. Con incarichi di un certo livello non hai orari e devi dare disponibilità continue, questo è un limite" ammette Rosa Anna Corsaro. "Forse le quote rosa stanno tentando di obbligare questa partecipazione, ma istintivamente mi danno fastidio come un secondo ghetto: prima facevamo carriera perché eravamo belline o strizzavamo l'occhietto, oggi perché ci considerano categoria protetta come i panda. D'altro canto, è un sistema con il quale sfondare una consuetudine, un male necessario" conclude. "In commissione di concorso mi sono arrabbiata perché mi facevano fare la segretaria in quanto unica donna presente" racconta Pecoraino. Per Simona Scollo anche la sensibilità della dirigenza in carica ha un peso, però questo sposta il discorso sulla soggettività, mentre dovrebbe essere sistemico. Sottolineare il ruolo di donne di scienza oggi e domani, in discipline diverse, significa provare a costruire un futuro brillante, con aspettative-chiave per una vita professionale soddisfacente. "Ricordatevi delle radici: siamo il posto nel quale viviamo. Ma volate alto seguendo i vostri sogni. Mi riferisco alle ragazze che hanno delle predisposizioni: non fatevi scoraggiare" augura Rosa Anna Corsaro. "Fare del lavoro la passione. Nel momento in cui ti piace fare quello che fai, la mente va e cerchi di dare sempre il meglio, perché lo fai con piacere. E stare con un compagno che condivide questa passione e ti sprona, anche questo è importante" aggiunge Simona Scollo. "Un mix, seguire i sogni e rimanere vicino agli affetti pur se difficile. La parte degli affetti ha una valenza importante, incrociare queste due cose è lo scopo più bello" sostiene Claudia Corradino. Gran finale all'appassionata Guenda Pecoraino: "Puntare sempre al massimo, non accontentarsi mai, provarci sempre. Se il massimo vuol dire andare in istituti di eccellenza in altre nazioni, andarci. Il nostro lavoro è legato ad una grande passione: noi guadagniamo poco rispetto a quanto ci impegniamo, la passione ci porta a lavorare molto più delle ore di contratto. La vita è già dura, se dobbiamo fare qualcosa che non ci piace, diventa terribile: cercate di divertirvi sempre. Se va male, pazienza".

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