Una telefonata ti salva la vita e te la migliora, soprattutto durante il lockdown. Isabella Ragonese - attrice italiana tra le più amate e stimate - l’ha ricevuta dall’amico Daniele Vicari con cui aveva già lavorato in un suo film del 2016 intitolato Sole, cuore, amore. “Lo scorso marzo – ci racconta – ero chiusa in casa come tutti, ma lui mi chiama e mi propone questo film, dandomi così un’energia diversa, la possibilità di continuare a fare il mio lavoro e a dare un senso al nostro stare”. Con quest’ultima espressione si indica quella realtà assai diffusa tra gli attori (e tra i liberi professionisti in genere), in base alla quale ci sono periodi in cui si lavora tantissimo e altri in cui si lavora meno o per niente, uno stare a cui ognuno reagisce e si adegua come può. Il film a cui si riferisce, invece, è Il giorno e la notte, il nuovo lungometraggio del regista reatino disponibile su RaiPlay. È ambientato a Roma durante un attacco terroristico che porta le autorità ad imporre alla popolazione di non uscire di casa, evidenziando così le conseguenze che la cosa comporta soprattutto nei rapporti tra le coppie, costrette a restare dentro le pareti domestiche. “È il primo film girato quando il mondo intero era in lockdown, nell'isolamento totale e tutti i set erano chiusi”, continua Isabella. “È stato un unicum e speriamo che resti tale” aggiunge ricordando come non sia stato certo semplice organizzare il lavoro senza una troupe vera e propria. Il regista è riuscito a trasformare le abitazioni dei vari attori (oltre alla Ragonese, nel cast ci sono Dario Aita, Elena Gigliotti, Barbara Esposito, Francesco Acquaroli, Matteo Martari, Milena Mancini, Vinicio Marchioni e Giordano De Plano) in veri e propri set la cui scenografia è stata curata proprio da loro stessi con la guida di Beatrice Scarpato che era a Roma guidando tutto a distanza. Le costumiste Roberta e Francesca Vecchi, bloccate a Modena, hanno fatto la stessa cosa con i costumi e il trucco, mentre il direttore della fotografia Gherardo Gossi operava da Torino facendo agli attori un corso di ripresa e di gestione delle macchine. Il fonico Alessandro Palmerini era all’Aquila e la continuity Maria Vittoria Abbrugiati a Fano. Ogni casa di ogni attore era quindi un set e l’unico contatto che avevano era con un assistente “bardato come un astronauta”. Per l’occasione, Isabella si è spostata nell’appartamento di una sua amica che non c’era che le aveva chiesto di bagnare le piante. “Quella strana location mi ha salvata, ricorda, perché ogni mattina dovevo alzarmi per andare a lavorare, una maniera per non pensare ad altro in un periodo così difficile per tutti. In quell’appartamento ho anche portato degli oggetti miei e ho iniziato a fare cose che mi ero promessa tante volte di intraprendere, come i disegni con gli acquerelli e i tanti disegni fatti e costruiti come una sorta di diario di viaggio”. “Quel set casalingo – aggiunge - è stato un viaggio in solitaria come chi va in giro su una barca per il mondo”. “L’assenza delle persone e della troupe ha ribadito quanto sia importante invece questo meccanismo per noi attori e non soltanto per noi”. Matteo Martari, suo compagno che nel film interpreta Luca, è un ragazzo conosciuto poco prima che chiudesse tutto, ma lei non l’ha mai incontrato prima di iniziare a girare il film (con il suo telefonino). “Tutti insieme, continua, abbiamo lavorato per un sogno che il virus sembrava aver cancellato, cioè ricominciare e continuare a fare il cinema nonostante tutto. Tutti insieme, ora che abbiamo iniziato a riuscire e a lavorare, posiamo finalmente condividere l’emozione di ritrovarci e di guardarci negli occhi stando all’aperto godendosi una serata insieme”.

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ph Marco Laconte

Luca e Ida, il personaggio da lei interpretato, sono due persone che si sono conosciute e che non si riescono ad incontrare per motivi più grandi di loro e il film analizza proprio come cresce un rapporto a distanza tra non poche difficoltà non soltanto logistiche. “Ida è una creatura solare che non si lascia abbattere”, ci spiega Isabella, e come chi si mostra sui social (di certo non lei che non li ha, ndr), cerca di farsi vedere sempre al meglio da lui, “anche se mentre dice qualcosa, dallo sguardo si percepisce la sua fragilità che nasconde con una grande energia”. È una donna che sa stare anche da sola proprio come Isabella che dalla sua Palermo ha deciso di trasferirsi a Roma solo negli ultimi anni. “Al contrario di miei colleghi e amici che a 18 anni sono andati via dalla nostra città, io ci sono rimasta fino a tardi. Quando ho girato Tutta la vita davanti, ero ancora lì. Volevo rimanere lì, facendo cose molto teatrali. A 20 anni volevo fare del teatro il mio lavoro, però restando a Palermo. Il cinema è arrivato quando ne avevo 25 grazie a Nuovomondo di Emanuele Crialese, ma anche in quel caso non mi spostai, perché giocavo in casa”. Recitare – come ci disse anni fa mentre girava La madonna della frutta - il corto di Paola Randi grazie al quale riuscì a passare diverso tempo in Abruzzo – “è una cosa che nasce con te”. Lo sapevo da quando ero piccolissima. Il set e il palco sono il mio habitat naturale, non potrei fare altro. Mi sento a mio agio, è uno spazio di libertà, un luogo in cui poter essere tutto senza che ci sia un giudizio, uno di quelli in cui puoi continuare a giocare come facevi prima, quando eri piccola”. “Questo momento – aggiunge l’attrice - ci ha insegnato quanto sia bello quello che abbiamo. La paura di perderlo è all’essenza dei rapporti e dei piaceri microscopici della vita, il ritorno delle persone alla natura”. Nella sua terra di natura ce n’è e in grande abbondanza. “Spesso per un siciliano la Sicilia è una maledizione: non te la riesci mai a togliere di dosso e quando sei lontana dalla tua terra, hai sempre una malinconia che si fa sentire. Te la porti dentro. La siciliana al teatro o al cinema l’ho fatta pochissimo - precisa lei - perché fisicamente c’entro poco, non vengo identificata come tale, ma il mio carattere è palermitano. Palermo – continua - non è una città facile: è molto stratificata e mi sorprende sempre. La sua è un’eterna propensione ed educazione alla bellezza: vicino a qualcosa di mostruoso c’è qualcosa di una bellezza accecante, un continuo allenamento per gli occhi”. È proprio in quella città che ha iniziato, “una città severa che non ti regala niente così come i suoi abitanti, severi e autocritici, grandi amanti del rigore nel fare le cose, portatori di un fatalismo inteso non come immobilismo, ma come un’idea che se una cosa non deve andare, non va, senza accanirsi – quindi - e accettare le cose così come vengono”. Da anni, come dicevamo, Isabella vive a Roma che oggi reputa la sua città, “anche se la situazione del migrante è sempre la nostalgia che ti porti appresso”. “Non l’ho scelto, ma a un certo punto, per lavoro, mi sono dovuta trasferire. Lavoravo tantissimo e la vivevo poco: oggi è parte di me e la sento mia”.

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