Avere vent'anni e un sogno gigante. A portata di lancio, tanto per restare in tema col suo sport. Alia Issa è la prima donna a far parte della Squadra rifugiati alle Paralimpiadi di Tokyo 2020, terza atleta di origine siriana in un gruppo di sei (gli altri tre vengono dal Burundi, dall'Iran e dall'Afghanistan). È fresca di passaggio di età in seconda decina, ma al primato social-culturale già stabilito con la sua semplice presenza ai Giochi non dà molto risalto. Ha altri obiettivi: salire in alto nella classifica del lancio della clava, laurearsi, farsi rappresentante fisica dello sport femminile per atlete con disabilità. La sua disciplina, il club throw nell'inglese sportivo, è stata pensata appositamente per gli atleti con disabilità che impediscono loro di lanciare il peso, il giavellotto o il disco, e consiste nel getto di una clava di legno a forma di birillo da bowling: il più lontano possibile, e dalla posizione più consona per l'atleta (c'è chi lancia di spalle, come Alia Issa, chi di lato, chi da davanti, a seconda dell'esigenza personale). Con 14,40 metri di lancio in qualifica un ottimo miglioramento, Alia Issa è sbarcata a Tokyo 2020. E come ogni atleta che si rispetti ha promesso di voler eccellere ulteriormente puntando ad una medaglia difficile, ma non impossibile. Che è il mantra sottile della sua esistenza.

Un viaggio di vita altrettanto complicato, quello di Alia Issa, nata in Grecia nel 2001 da una famiglia di origine siriana. Il padre, Mohament Issa, aveva lasciato la Siria pochi anni prima per trasferirsi in Grecia: voleva guadagnare di più e lavorare meglio per sostenere la famiglia rimasta lontana, la moglie Fatima Najjar e altri quattro figli. A ricongiungimento avvenuto nel 2001 nasce Alia, bambina gioiosamente accolta, sana e felice. A quattro anni, la piccola si ammala improvvisamente di una forma particolarmente grave di vaiolo, con una febbre altissima che la costringe al ricovero prolungato in ospedale: alla guarigione, i medici evidenziano lesioni al cervello che interessano le facoltà motorie e di linguaggio. Alia Issa fatica a parlare, ha bisogno della sedia a rotelle per muoversi. Una nuova vita è cominciata in un modo inatteso, e non è affatto facile per chi era abituata diversamente. "Ero bullizzata dai bambini. Ma non mi fermava dal voler andare a scuola, la scuola mi piaceva molto" ha raccontato l'atleta in un'intervista al sito ufficiale dei Giochi Olympics. La famiglia, invece, fa quadro protettivo attorno a lei. Un terapista del linguaggio per aiutarla a esprimersi e comunicare, la ginnastica specifica per rinforzare i muscoli e i movimenti, iniezioni di fiducia e autostima continue. Per Alia Issa è solo un filino più complicato, ma come sempre non impossibile: suo padre, sua madre, non hanno mai voluto che lo fosse.

Cede solo una volta, quando la sfortuna si fa enorme. A 14 anni viene travolta dalla notizia della malattia della sorella maggiore, sposata e trasferita in Norvegia. Un cancro. La madre parte per assistere la figlia, Alia resta col padre. Che si ammala a sua volta, anche lui di cancro, e sceglie di curarsi accanto all'altra figlia che nel frattempo inizia a guarire. Si trasferiscono tutti in Norvegia ma la forma di cui soffre il signor Issa è più aggressiva. Non c'è nulla da fare. A 16 anni Alia perde il suo amatissimo padre, colui che sognava assieme a lei una carriera nella medicina e le insegnava che tutto era alla sua portata. "Mi ci è voluto un anno per accettare che non ci fosse più. È stato davvero difficile" ha raccontato la giovane atleta. Le complicazioni si susseguono: lei e la madre non possono mantenersi in Norvegia e l'incubo peggiore sarebbe tornare in Siria, paese devastato da anni di guerra civile. Loro sono a tutti gli effetti delle sfollate. Rientrate in Grecia, la madre richiede e ottiene lo status di rifugiate di guerra per entrambe. Alia Issa inizia a frequentare una scuola riservata alle persone con disabilità, dove la sostengono e la valorizzano. Il suo percorso di ripresa mentale si appoggia sule basi della carriera sportiva: a notare la sua propensione atletica è Michalis Nikopoulous, che nel giro di un anno diventa il suo allenatore e la spinge verso la disciplina del lancio della clava, molto più dinamica rispetto ad altri sport. "Mi sento più forte, più sicura del mio corpo e della mia mobilità" commenta lei. Il primo torneo è a settembre 2019, ma i risultati sono scarsi: Alia Issa non si arrende, anzi, pianifica assieme a Nikopoulous una serie di allenamenti per perfezionare i lanci, e ottiene il permesso di continuare ad allenarsi anche nel momento di lockdown della Grecia. Migliora il primato personale con 16.40 metri, e diventa ambasciatrice dell'attività sportiva per le donne con disabilità, che vive come una piccola missione personale. "Non state a casa, muovetevi. Vi darà indipendenza, vi farà sentire inclusi nella società. Io sono diventata rapidamente parte di una comunità di amici con gli stessi obiettivi" ripete con dolcezza. Dal canto suo, oltre a puntare alla medaglia a Tokyo, Alia Issa pensa anche ad un futuro all'università, probabilmente medicina. Come avrebbe voluto quel padre esemplare che, ne è convinta, adesso sta orgogliosamente tifando per lei.