Il sorriso sfacciato e sornione, quel naso da finto ex pugile, le sigarette come accompagnamento a una gestualità diventata iconica. È morto Jean-Paul Belmondo, per tutti Bebel, se ne va a 88 anni la canaglia più memorabile del cinema francese dal cognome italiano. Lo sguardo obliquo, l'aria di chi è pronto a provocarti o a raccogliere la tua provocazione, un animale da palcoscenico e da cinepresa che sapeva incantare semplicemente stringendo le labbra attorno all'ennesima cicca. Ha recitato con i giganti e con le pulci del cinema, Jean-Paul Belmondo, ha scelto personaggi stupendi e caratterizzazioni minori, amando il cinema nella sua interezza contraddittoria di arte e botteghino. Origini siculo-piemontesi da parte di padre, madre pittrice francese, nato nella allora Algeria francese nel 1933 ma presto trasferitor a Parigi per fare l'attore. Senza se e senza ma, Bebel voleva quello, la gavetta (e la bocciatura alla scuola di arte drammatica) non lo fermano. Lui il dramma lo nasconde dietro la faccia da commedia e il physique du rôle della guardia da poliziottesco, il duro dal cuore tenero che farà da antesignano all'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e a una serie di copie sbiadite da tv. Ma prima di tutto c'è l'anno principe, il 1960 con Jean-Luc Godard per All'ultimo respiro e con Vittorio de Sica e Sophia Loren per La Ciociara. Il mito di Bebel inizia nell'anno rotondo, ai bordi della Dolce Vita.

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Brillante, scanzonato, fisico, Jean-Paul Belmondo è stato un divertito irrequieto, l'uomo che non voleva stufarsi del lavoro che amava. Lui ha sempre voluto fare l'attore, non altro: velleità extra da regista, produttore, o quale altro mestiere, non erano per lui. Davanti alla cinepresa, mai dietro. Capitava di averlo in Italia per tanti set, accanto a dive del calibro di Gina Lollobrigida e Stefania Sandrelli, e in Francia recitava con Catherine Deneuve per la regia di François Truffaut, oppure si contrapponeva al vero monsieur tenebroso Alain Delon, formando una irresistibile coppia in Borsalino. Ma l'amore e la libertà, sono stati il più grande motore delle sue decisioni. "L'italiano è la lingua che ha accompagnato i miei incontri con i più grandi registi, con le donne più belle, le auto veloci che sono state la mia passione" confessava qualche anno fa a La Lettura.

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Le donne, appunto, un gigantesco capitolo nel carnet da amatore, quasi più numerose dei film di Jean-Paul Belmondo da rivedere inquadratura per inquadratura. Amate, tutte, per lunghissimo tempo. Quattro figli (la primogenita nacque nel 1958, la più giovane Stella è del 2003 e lui la definì "la gioia della mia vita"), due matrimoni ufficiali, innumerevoli relazioni, nipoti come Annabelle Belmondo. Due le fidanzate attrici che hanno segnato il gossip e il suo cuore di pirata romantico: Ursula Andress dal 1966 al 1972, ma soprattutto Laura Antonelli subito dopo, fino al 1980. Mai sposati, ma universalmente simbolo di quell'amore che ti tocca una volta nella vita: alla scomparsa di Antonelli, Belmondo dichiarò che era molto intristito dal fatto che la sua ex fidanzata fosse morta in povertà, praticamente dimenticata da tutti. A lui sono toccati molti più anni di vita, nonostante le precarie condizioni di salute dell'ultimo ventennio, e molti più riconoscimenti come la Palma d'Oro e il Leone d'Oro alla carriera, tra Cannes e Venezia, i suoi due poli cinematografici. Il primo amore del cinema francese ci ha lasciati con una convinzione: la faccia da schiaffi si nutre di amore. E di totale libertà.

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