In Texas, di fronte agli incessanti e coordinati attacchi alla libera scelta delle donne sul controllo del loro corpo e alla perdita di Wendy Davis alle elezioni governative, l’artista Mary Walling Blackburn ha deciso di reagire ed affrontare il problema cambiando punto di vista. Poiché alle donne si sta negando l’accesso all’aborto e alla contraccezione sicura, ha cercato una soluzione nei rimedi omeopatici, allestendo un giardino di piante note per rendere gli uomini sterili o almeno impotenti - servono mirto, papaya e nīm, per chi fosse interessato. L'idea, femminista e provocatoria, che effettivamente risolverebbe il problema alla radice, era il punto di partenza della mostra Anti-Fertility Garden per una no-profit di San Antonio, in Texas. Sembrano notizie dell'altro giorno, ma questo accadeva nel 2015. Lo stesso anno, in Nuova Zelanda, la fotografa Ann Shelton ha iniziato a ricercare e fotografare erbe che venivano storicamente usate per controllare la fertilità femminile inaugurando la serie di nature morte jane says. Ancora oggi Shelton continua a coltivare piante e fiori nel suo giardino di casa ad Hahei, per poi arrangiarli in sculture minimaliste secondo i criteri dell'antica tecnica giapponese dell’ikebana - una metafora, a detta dell'artista, della regolamentazione del corpo femminile.

instagramView full post on Instagram

Gli scatti sono iperrealisti, le composizioni precise, quasi scientifiche, gli sfondi dai colori vibranti e ogni curva di petalo, ogni vena di foglia perfettamente a fuoco. Meno immediato è il carico storico e sociale che porta la natura immortalata, prima selezionata e riverita, poi domata e fotografata. Le piante, i fiori e i semi scelti alludono discretamente ai linguaggi segreti che per secoli sono stai usati dalle donne, spesso levatrici, nel descrivere tonici e tinture formulati con ingredienti naturali per risolvere i “problemi di donne”, inclusi i dolori mestruali, i preparati di erbe emmenagoghe per favorire il ciclo e le cure con le piante abortive nei casi più estremi. Shelton è anche interessata agli antichi archetipi femminili (The Mother, The Witch, The Nurse sono alcuni dei titoli ricorrenti) e al ruolo che occupavano nel salvaguardare la conoscenza della medicina naturale, soprattutto quella relativa al corpo e al benessere della donna. Questi segreti, sostiene l'artista, sono andati persi quando la Chiesa si è attivata per sradicare una tradizione secolare equiparando l’erbalismo alla stregoneria. “Questa soppressione dell’informazione”, Shelton ha raccontato sul sito di Artnet, “può essere considerata parte di una lunga serie di atti ostili nei confronti delle donne sulla questione del corpo femminile - a partire dal Medioevo, passando per il colonialismo, la medicina, l’invenzione dell’isteria e la riduzione dell’assistenza sanitaria per le donne, fino al dibattito corrente sull’aborto”.

Il ciclo fotografico jane says prosegue, si espande con nuovi pezzi (The Justice è un toccante tributo al giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg) e Ann Shelton continua ad esporre in giro per il mondo, con tappe nel 2021 a Reggio Emilia, New York e Timaru. Dagli inizi nel 2015 il dibattito sull’aborto si è intensificato e rimarrà sulle prime pagine dei giornali per molto tempo, ma non si tratta sempre di cattive notizie: per ogni disastro legislativo negli Stati Uniti - il più allarmante di nuovo in Texas - e in Polonia, ci sono stati altrettanti cambiamenti positivi che non vanno minimizzati, basti citare la depenalizzazione dell’aborto nello stato di Coahuila, nel nord del Messico, e la rimozione dell’aborto dal Crimes Act in Nuova Zelanda, patria di Ann Shelton, fotografa di contraccettivi femminili che sembrano fiori.