Dal 1 ottobre sulla piattaforma di Netflix sarà disponibile una miniserie tv intitolata Maid di cui negli Usa si è cominciato a parlare già prima che i critici televisivi avessero la possibilità di vedere la prima puntata in anteprima. Non c'è testata americana, fra le maggiori, che l'abbia ignorata: oltre alla cura con cui è stata prodotta e recitata, a far montare l'interesse per la serie Maid sono soprattutto tre fattori. Il primo è che la protagonista, Alex, è intrepretata da Margaret Qualley figlia di Andie McDowell, e anche l'attrice icona di Quattro matrimoni è un funerale fa parte del cast nel ruolo di sua madre (“è stata un’idea sua”, dice McDowell). Il secondo è sintetizzato in una frase che il Time ha usato nell’articolo che ha dedicato alla serie: “Maid di Netflix è un ritratto empatico della povertà che sfata il mito del riscatto sociale”. Ossia: se l’arte pensava di aver ormai esaminato e riprodotto in tutti i suoi aspetti il tema della miseria nascosta sotto il tappeto, nei paesi del cosiddetto Primo Mondo, si sbagliava di grosso: "Maid non insegna quanto il duro lavoro può salvarti, ma quanto a volte sia falsa questa idea", scrisse già amaramente il Washington Post quando il libro uscì. Il terzo motivo è che questa produzione è la riduzione di Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother's Will to Survive, un libro bestseller semi autobiografico. Per cui, quasi tutto quello che vedremo nelle sue dieci puntate è accaduto davvero. L’autrice si chiama Stephanie Land, è originaria di Washington ma ora vive in Montana. I diritti per il suo libro sono stati contesi fra dieci diverse case di produzione ma alla fine lei ha scelto la più convincente, ovvero quella che le proponeva una versione che non ruotasse meramente intorno al concetto una donna bianca è finita in miseria: come ne uscirà fuori?. “Questa non è la storia di una persona bianca; Il 90% dei lavoratori domestici sono persone di colore, il libro l'ho scritto perché tutte che le persone che lottano per tirare avanti potessero vedersi rappresentate in modo autentico e si sentissero meno sole", ha detto Land. Ma non è tutto. Nella scena iniziale si vede la giovane protagonista Alex assicurare bene, ma in fretta, il seggiolino di un bambino al sedile dell’auto. Poi si mette alla guida e dall’oscurità del vialetto da cui sta per fuggire spunta la sagoma di un uomo che la minaccia e tenta di fermarla. È subito chiaro che si tratta della fuga di una donna dal partner violento, quella che viene invocata a ogni notizia di femminicidio come se si trattasse di cosa facile da compiere. Per tutta la serie, invece, appare chiaro come scappare per la propria sicurezza non sia affatto così semplice e come possa diventare un'odissea senza fine perché subentra una minaccia diversa, quella di trovarsi all'improvviso senza soldi e senza nessuno che ti possa aiutare. Stephanie Land oggi ha 43 anni e ha deciso nel 2015 di raccontare la storia dopo che un suo un articolo in cui la descriveva brevemente, pubblicato da Vox, aveva riscosso un successo sbalorditivo. Stephenie Land viene da una famiglia della classe media, non è certo nata povera. Dopo un’incidente d’auto, a 16 anni, ha iniziato a soffrire di un disturbo da stress post traumatico che si acuisce molto quando è in periodi di difficoltà, come quello raccontato nel suo libro. Il bambino di cui si parla nella storia, e che ha cresciuto come madre single, lo ha avuto a Port Townsend, nello stato di Washington. È stato quello il periodo in cui da ragazza nata e cresciuta in una buona famiglia si è trasformata in una disperata che viveva sotto la soglia della povertà. Il libro racconta gli anni trascorsi a fare le pulizie in case a volte disgustose e le traversie vissute facendo affidamento su programmi di assistenza sociale delle cui carenze ora si è fatta accusatrice e portavoce. Da tutto questo è uscita fuori solo dopo aver ottenuto un prestito universitario per adulti, che le ha permesso di ottenere una laurea triennale in Arte e Scrittura Creativa. Durante gli studi ha scritto racconti per Vox e l'Huffington Post Us e quando si è sentita abbastanza sicura di farcela senza bisogno di sussidi, ha potuto lasciare il lavoro nelle imprese di pulizie. Nonostante il suo libro voglia attirare l'attenzione su quelli che a migliorare la propria condizione non ci riescono, Stephanie ce l'ha fatta e oggi vive solo di ciò che scrive e insegna. Si è sposata, ha quattro figli, e quel periodo è solo un ricordo che non ha intenzione di cancellare.