Ama ridere e camminare. Esplora il mondo attraverso i suoi personaggi e nonostante sia una delle figure più acclamate della letteratura contemporanea, a lungo non si è considerata scrittrice. È Yasmina Reza, autrice di pièce teatrali come Art, che l’ha rivelata al grande pubblico nel 1994, Bella figura o Anne-Marie la Beauté, presentata appena prima della pandemia. Ma anche di romanzi, tra cui spiccano Al di sopra delle cose, Felici i felici, Babilonia e Il dio del massacro, da cui il regista Roman Polanski ha tratto il film Carnage. Figura minuta e cotonatura pseudo Sixties, Yasmina è la protagonista del Premio Malaparte 2021, il riconoscimento letterario che nella sua versione contemporanea premia a Capri penne internazionali che manifestino una predisposizione verso l’autentico spirito di Capri stessa, da sempre luogo di incontro di culture differenti e di grandi letterati.
C’è chi la considera snob, per il suo modo di essere «Asciutto», come lei stessa lo definisce. Quel che traspare dall’incontro informale nel giardino di Michele Pontecorvo Ricciardi, vice-presidente di Ferrarelle, sponsor unico del premio - fondato da Alberto Moravia nel 1983 e rinato nel 2012 grazie alla passione di Gabriella Buontempo - è solo la sua allergia ai salamelecchi. Yasmina rifugge l’adulazione e, caso abbastanza raro di questi tempi, non sfrutta l’occasione per alimentare il suo ego. Propone piuttosto una visione della vita spietata nello sguardo (in primo luogo rivolto verso di sé) e allo stesso tempo empatica, perché si impegna a descrivere, senza ergersi a giudice. Un esercizio di lucidità che in tanti scambiano per sarcasmo, definizione che Reza rifiuta. Piuttosto una proposta di condotta lucida.

capri premio malaparte la vincitrice del premio malaparte, yasmina reza  napoli 2 ottobre 2021 ansacesare abbatepinterest
CESARE ABBATE

Che effetto le fa ricevere il Premio Malaparte da un parterre entusiasta di giurati come Leonardo Colombati, Giordano Bruno Guerri, Giuseppe Merlino, Silvio Perrella, Emanuele Trevi e Marina Valensise, presieduti da Raffaele La Capria?
I complimenti mi imbarazzano ma sono felice di questo riconoscimento perché mi dà l’illusione di sentirmi importante nel campo che ho scelto, sebbene l’illusione, duri solo un giorno. Ho la fortuna di vivere della mia scrittura, ma a lungo non mi sono considerata scrittrice. Molte volte, quando dovevo sbrigare delle pratiche burocratiche in cui mi si chiedeva la professione, crociavo la casella “Altro”. Proprio non mi veniva in mente di dichiararmi scrittrice, non ho mai deciso coscientemente di esserlo.

A sentirla parlare sembra che eserciti la spietatezza in primo luogo su di sé.
La pietà quando scrivi non è interessante e io dedico a me stessa lo stesso sguardo con cui osservo i personaggi delle mie opere, siccome l’unica cosa che mi interessa è andare fino all’osso. Posso sembrare crudele o feroce, ma il sentimento è contrario all’osservazione: non puoi amare e capire contemporaneamente. La comprensione ha bisogno di un po’ di asciuttezza e con il mio lavoro metto in scena situazioni taciute o mascherate. Cerco di dire le cose che non vengono mai dette ed è per questo che suscitano il riso. Ridere allora diventa il riconoscimento di una situazione vera in cui di solito tutti hanno un pensiero che non verbalizzano mai. Ma attenzione, io come autrice non derido mai i miei personaggi, non mi faccio beffe di loro.

Non ha mai temuto di non essere presa sul serio come autrice per via del suo far ridere?
Da molto tempo in Francia ridere è malvisto. In genere se a teatro fai ridere, sei considerato “funny” e niente più. All’inizio ho lottato contro questo pregiudizio, poi è successo che la gente ha iniziato stimarmi e, per darsi una giustificazione, si è detta che io ero un’eccezione perché stavo facendo della satira. Niente di più falso, è un malinteso che mi annoia molto. Io non mi pongo al di sopra degli altri, non dico “Questo va bene e questo no”. Io sono assolutamente dentro la vita e rido di me stessa.

Pensando alla sua vita, qual è stata una decisione che gliel’ha cambiata davvero?
Ho iniziato come attrice, ma quasi subito mi sono resa conto di quanto quel lavoro sia terribile, sempre in attesa di una parte, appesa ai desideri altrui. Quello non poteva essere il mio futuro e siccome sapevo di avere un po’ di talento, mi sono detta “Scrivo una pièce”. Ma la vera scelta intelligente è stata quella di non scrivere un ruolo per me. Si trattava Conversazione dopo un funerale, avevo 23 anni e ha dato una svolta al mio destino.

Oggi le persone scrivono molto poco, non parlo di libri ma dei propri pensieri messi nero su bianco, per se stessi o magari da inviare poi a qualcuno. Cosa direbbe se dovesse invitare la gente a riappropriarsi della scrittura?
Fatico a dare una risposta perché a parte i momenti in cui lavoro alle mie opere io non scrivo mai nulla. E non amo l’idea che lo scrittore debba prendere una posizione nella società, su cui io scelgo di non esprimermi per due ragioni. La prima è che mi mancano le competenze e perché, se dai una opinione su un determinato tema, poi sei costretta ad attenerti a quell’idea nei tuoi libri. Tenersi radicalmente fuori dalle opinioni permette di mettersi nella posizione del narratore. Voglio poter scrivere di qualunque argomento: gli scrittori sono le uniche persone veramente libere.

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Cesare Abbate
Premio Malaparte 2021, Gabriella Buontempo e Michele Pontecorvo Ricciardi vicepresidente Ferrarelle