Sono contenta di essere donna. È l’affermazione di Isabella Ferrari al termine di un’appassionata lettura sulla vita (ricca di sali scendi) di Helena Rubinstein, visionaria fondatrice dell’omonima casa cosmetica. Helena, il cui motto era Beauty is power, disse che «Non esistono donne brutte ma solo donne pigre». «L’ho imparato anch’io negli anni», afferma Isabella. «Non è soltanto mettersi la crema tutti i giorni, ma fare yoga, camminare spesso, mangiare sano, essere anche un po’ più felici. Così alla fine la gioia si impossessa di noi. Bisogna andare oltre il conteggio delle rughe davanti allo specchio».

Chi sono oggi le donne prodigiose? Gestire lavoro, famiglia e avere tempo per noi stesse è già di per sé un fatto prodigioso. Non credo che crescere i figli sia diverso per una donna che lavora o per una mamma a tempo pieno. È sempre come partorire ogni giorno. Nel mio caso però sento che il lavoro mi ha aiutato a essere madre.

Ha recentemente interpretato due ruoli di mamma, differenti, ma entrambi sofferti. Nella vita reale che tipo di madre è? Sono una mamma che c’è. Pretendo la verità e ho un rapporto molto stretto con i miei figli, soprattutto con le due ragazze (Teresa e Nina, ndr). Ho vissuto spesso il senso di colpa quando non ci sono stata e ho cercato di compensare con lunghe telefonate via Skype o Facetime. Adesso ho capito che anche quando non c’ero fisicamente ero comunque presente.

Helena Rubinstein ha avuto rovesci finanziari e sentimentali, ma alla fine si è sempre rialzata. Una personalità affascinante, cosa ne pensa? Non bisogna arrendersi, anche se è difficile. Personalmente credo di avere un carattere forte. Mio marito spesso mi dice: «Tu non sei mai in vacanza! » Mi occupo di tante cose, non sono per scelta un’attrice full time.

Ha avuto successo a 16 anni: sente di avere perso una parte di giovinezza? Sicuramente sono cresciuta in fretta, ma fortunatamente non mi sono persa lungo la strada. Però non ho vissuto un’adolescenza uguale a quella dei miei coetanei. Non ho più visto i miei amici di Piacenza, mi sono trasferita molto presto da una città di provincia a una metropoli come Roma. Una scelta che ha comportato difficoltà e rischi, ma anche tanta felicità. Ho dovuto spesso gestire la tristezza di essere lontana, ma il lavoro mi ha aiutata a raccontare la vita degli altri. Sì, mi ha salvata, insieme all’analisi...

È stato difficile staccarsi dal ruolo di bella-bionda-occhi-azzurri? È un percorso. Il successo è arrivato molto presto e piano piano ho formato il mio gusto attraverso i registi che ho conosciuto. Non ho fatto una scuola di recitazione, ho imparato guardando le altre attrici. Sono cresciuta sulla strada, da autodidatta. Mi ha tenuto in piedi la curiosità. Ecco, auguro ai miei figli di essere sempre curiosi. Invece ci si perde nella tecnologia. Vedere le persone sempre con il cellulare in mano mi infastidisce. Al mondo c’è molto di più. Credo che la testa debba avere un po’ di respiro, anche solo per guardare il cielo. La protagonista del film di Calopresti, Uno per tutti, è una donna che cerca pace attraverso terapie olistiche e buddismo. Lei si è mai accostata a queste pratiche? Sono stata spesso fan di diverse cose. In Indonesia ho comprato tanti Ganesh (dio indù dalla testa di elefante, ndr) e per un periodo offrivo loro fiori, lenticchie e riso. Ho il mala, rosario buddista, un oggetto che mi piace tanto quanto il Padre Nostro. Sono affascinata dalle culture diverse. Adoro i massaggi olistici e il profumo degli oli essenziali e dell’incenso.

C’è un privilegio che sente di avere acquisito con l’età? L’autostima. Ha fatto fatica ad affiorare, non so per quale motivo. Ho sempre molti dubbi e ripensamenti, mi faccio tante domande. Sapersi ascoltare è complicato, ma vado avanti per questa strada.

Ho letto che lei scrive moltissimo: taccuini, diari. Prenderanno una forma compiuta, un giorno? Non ho un diario vero e proprio, ma molti quaderni dove disegno, scrivo pensieri e frasi che leggo nei libri. Prima o poi dovrò mettere ordine e dare a tutto un senso compiuto. Sarà un’esperienza emotiva, ma sicuramente terapeutica.

Se non avesse fatto l’attrice che professione avrebbe scelto? Mi sarebbe piaciuto essere un medico antroposofo perché credo nella medicina che lega corpo e mente. Ho seguito un’altra strada, ma credo che anche l’arte sia curativa.

Lei collabora con Oxfam e Save the Children. Quali sono le urgenze da affrontare? Sicuramente l’immigrazione, da gestire con un piano europeo. Ci sono molti progetti da portare a termine ed è bello vedere cosa le donne possono fare per le altre donne. Ho tante energie e speranze, nonostante i miei occhietti malinconici! Bisogna agire, non ci sono tante parole.