Si chiama Ginza, come il quartiere di lusso a Tokyo, patria di Shiseido. Questo nuovo profumo parla di Giappone, di yin e yang, di energia ed equilibrio e del dualismo di ognuno di noi.
A tradurre in una fragranza l’immagine di una femminilità forte e decisa, con una sicurezza anche interiore, evitando l’equazione-cliché femminilità uguale sensibilità, sono state chiamate due donne, Karine Dubreuil e Maïa Lernout. Entrambe fanno parte della casa di profumi giapponese Tagasako e si sono messe all’opera per la creazione di Ginza.
Il processo è durato due anni e il bouquet, floreale e legnoso, è stato studiato con un approccio etico. «Abbiamo utilizzato il legno di hinoki, un cipresso sacro che in Giappone si usa in falegnameria e in particolare per costruire i templi. Era la prima volta che lo utilizzavamo in un profumo. L’essenza si ottiene dalla lavorazione degli scarti del legno, come i trucioli, che altrimenti sarebbero bruciati. Le piantagioni di questi alberi sono gestite in maniera sostenibile nell’area di Okayama, supportando la popolazione locale.
Olfattivamente ha un sentore delicato, fresco e leggermente affumicato che si sposa bene con il patchouli e ne attenua il suo lato “scuro”», dice Karine Dubreuil. «Inoltre - interviene Maïa Lernout - ha grandi virtù aromacologiche e spirituali, in Giappone ha le stesse caratteristiche dell’incenso, si usa per purificare la mente». «Oltre all’inoki, che rappresenta la spina dorsale del profumo, abbiamo lavorato con altre note, come l’orchidea e tre tipi di gelsomino», prosegue Dubreuil. «Sono nata a Grasse e mi sento molto in sintonia con la natura. Quando sono stata a Kyoto e ho sentito il profumo dei gelsomini mi sono sentita immediatamente trasportata nel passato, quando ero bambina e passeggiavo in campagna». È il potere dei profumi.
Alchimia di contrasti Per Ginza sono stati utilizzati ingredienti prevalentemente rinnovabili e le molecole sono state sintetizzate grazie alla chimica verde. «Spesso si ritiene ci sia un contrasto fra materie prime botaniche e sostanze sintetiche», dice Lernout. «Personalmente amo gli estratti naturali, ma credo che nel nostro lavoro abbiamo bisogno anche della scienza. Con la chimica verde riusciamo a ricreare la sensazione del fiore dove non sarebbe possibile farlo. In un certo senso proteggiamo la natura. Non esiste sempre la contrapposizione tra bianco e nero».