Magre domani? No magre forever. Questo potrebbe essere il motto del rientro perfetto, dunque, in cima alla lista delle priorità detoxc’è, inevitabilmente, la dieta. E se per portarsi dietro lo spirito più vacanziero che esista, c’è chi dopo una settimana a Saint Tropez inizia mangiare come una parigina doc, chi invece dopo il viaggio della vita al fresco di Oslo, decide di seguire le abitudini culinarie delle donne norvegesi, e infine chi ha trascorso due settimane indimenticabili in barca lontano dai fornelli, e ha deciso di sperimentare la dieta crudista. Un regime alimentare che impone il consumo di cibi crudi, o al massimo leggermente scottati a una temperatura mai superiore ai 40°. Gli scogli più grandi? La disciplina rigidissima e una filosofia gastronomica da rispettare che va ben oltre la cucina. «L’ho provata per una settimana con lo spirito di chi si approccia a un regime alimentare complesso, intenso, con il massimo rispetto soprattuto per la retta morale che si porta dietro, ma anche con una dose di leggerezza tipica di chi lo sta sperimentando con curiosità per la prima volta», racconta l’editor Marshall Bright a Refinery29.

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«Le ragioni che mi hanno spinto a sperimentarlo sono lontane dall’etica ma ben più leggere e riguardano, in primis, il limite afa: d’estate cucinare può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Secondo poi, il tempo, limitato anche d’estate, e infine la curiosità di scoprire che cosa sarebbe successo al mio organismo dopo una settimana di dieta crudista. Il mio percorso gastronomico è cominciato con una spesa mirata e con la prima presa di coscienza: mangiare cibi freschi è costoso, vero, ma il conto finale esclusa carne e comfort food si è rivelato più contenuto del previsto. Banale? Mica tanto. Ho riempito il carrello di frutta, verdura, semi, fave, hummus, gli ingredienti perfetti per le mie colazioni a base di smoothies, i miei pranzi proteici e le mie cene a base di verdura e carne. I primi giorni, complice l’entusiasmo e la grande curiosità, il feedback è stato più che positivo. Cucinavo poco e sporcavo ancora meno e i pasti erano inaspettatamente gustosi e sufficienti a saziarmi. Senza contare l’energia, in abbondanza. I giorni più complicati sono stati quelli centrali, quando le aspettative crescevano, ma la fantasia culinaria iniziava a precipitare. Non ne potevo più di pomodoro, avocado e pane tostato. Ma il bello doveva ancora venire e si chiamava weekend. Il momento in cui sono giunta alla conclusione delle conclusioni: avere abitudini alimentare diverse dal resto del mondo è un vero dramma. Banale? Mica tanto». La morale raggiunta dalla editor di Refinery29 non si allontana da quella di chiunque come lei si avvicina, quasi per gioco, a un regime alimentare così complesso. Il processo deve essere ragionato e preceduto da un consulto medico (un nutrizionista), per capire se la scelta è quella giusta anche per l’organismo. Banale? Mica tanto.