Basta usare un cric modello vecchio con cui si deve sprecare molto olio di gomito per capire quanto il mondo, fino a poco fa, fosse ritagliato intorno alle sagome più forzute e voluminose degli uomini. Ora di cric se ne trovano anche modelli facili da usare, piano piano il mercato si è adattato a considerare le donne come consumatrici con reddito indipendente, sempre meno a carico del marito, anche se parecchie cose progettate da uomini restano ancora a misura d’uomo. Esempio: dover chiedere aiuto a un uomo per svitare il tappo di una bottiglietta. Poco male, se non fosse che il settore ancora sofferente di sottovalutazione che ci preoccupa davvero, perché ci fa vivere sul filo del rasoio, è la ricerca medica.

Negli ultimi tempi, la storia della medicina sessista è diventato un tema caldo, su cui nemmeno il misogino più incallito osa la frase standard: “con tutti i problemi che ci sono, dobbiamo pensare a questo?”. Ne ha parlato la gyn-star americana Jen Gunter nel suo libro The Vagina Bible, che ha analizzato i motivi per cui le donne sono più inclini ad abboccare ai rimedi salutisti da imbonitori o sciamani, scoprendo che dipende dalla carenza di medicine e integratori ufficiali e sicuri specificatamente studiati per il corpo femminile. Un po’ come quando le donne si davano alla stregoneria perché le religioni le consideravano inferiori. A parte la sacrosanta prevenzione sui tumori femminili su cui si sta lavorando bene da qualche anno a questa parte, questo atteggiamento ha condizionato, e condiziona ancora la vita delle donne.

Una nuova indagine fondamentale l’ha appena svolta Gabrielle Jackson del Guardian, che con un articolo senza eufemismi ha esplorato le origini di questa negligenza scientifica dalle radici profondissime. A cominciare da Aristotele che in Sulla generazione degli animali, descrive la donna come “un maschio mutilato”. Che le donne abbiano qualcosa in meno rispetto agli uomini, come sappiamo, è un concetto anatomicamente sbagliato. Ma proprio per non ammettere il valore aggiunto dell’utero, racconta Jackson, è nato il concetto dell’isteria femminile, da istero, non come prezioso organo in cui si forma la vita, ma come parte del corpo che determina le intemperanze e l’inaffidabilità delle donne. Con l’isteria è stata giustificata e messa in un cantuccio ogni sofferenza femminile. Ancora oggi accade che un medico sottovaluti i dolori dell’endometriosi, fino al momento in cui si presentano danni già irreparabili. In passato, invece, ogni singola malattia femminile su cui i medici non sapevano che pesci pigliare, perché ci si approcciavano come se si trattasse di maschi, veniva incasellata nell’isteria, riempiendo tra l’altro i manicomi di donne sanissime, ritenute “difficili”.

La medicina, come spiega la giornalista del Guardian, si aspettava che la donna prendesse la responsabilità di evitare e curare la malattia con un corretto stile di vita, “conformandosi ai ruoli sociali di genere di moglie e madre” che, se rispettati, l’avrebbero tenuta lontana da ogni problema fisico. E se non funzionava, il dolore andava comunque sopportato e nascosto stoicamente. La differenza fondamentale fra uomini e donne era rappresentata dai nostri organi riproduttivi, considerati misteriosi e sospetti. Il resto, tutto identico agli uomini. A parte che nei primi disegni di modelli anatomici le donne venivano rappresentate con fianchi molto grandi e teste molto più piccole della realtà. Acqua passata? Il problema è che, più o meno ovunque nel mondo, secondo la dott.ssa Kate Young, ricercatrice della Monash University in Australia specializzata sull’argomento, il sistema sanitario (sia privato o pubblico) è ancora ingenuamente basato sui principi con cui è nato in quei tempi, “creato da uomini per uomini" e in base a quelle idee. Le ricerche storiche in biologia sono state fatte principalmente su campioni maschili. Anche i ricercatori più in buona fede, nella formulazione delle teorie e nel tentativo di fare delle scoperte importanti, sono stati influenzati in corso d’opera – inconsciamente – dal concetto dell’isteria e molti risultati sono stati falsati, danneggiando la salute delle donne, perché tendevano alla conferma di quel concetto. Aggiungiamoci che se la laurea in medicina di Maria Montessori nel 1896 ha fatto tanto scalpore, è sintomatico di quanta voce in capitolo abbiano avuto le ricercatrici mentre si gettavano le fondamenta della medicina. Il primo studio sulla longevità umana condotto a Baltimora nel 1958 ha utilizzato solo volontari di sesso maschile e ha continuato a non includere le donne fino al 1978.

Anche uno studio di fine millennio che ha scoperto l’efficacia dell’aspirina sulla prevenzione delle malattie cardiache è stato basato unicamente su 22.071 campioni di sesso maschile, per cui non è scontato che sia efficace anche con le donne. Il sistema endocrino è stato scoperto solo nel XX secolo, e con quello anche la presenza degli ormoni, in percentuali diverse nei corpi maschili e femminili. Ma anche a quel punto, la scoperta che i livelli ormonali possono variare, nelle fasi mensili del corpo delle donne, ha consentito la dismissione degli studi perché considerati impossibili da monitorare (ora sappiamo che non è così). L’idea che la funzione principale della donna sia quella riproduttiva alimenta ancora oggi leggende sulla “protezione” che la gravidanza assicurerebbe contro alcuni tipi di malattie, mai dimostrata. Forse di tutto questo non ce ne siamo mai accorte, ma nel frattempo, negli anni 80, un gruppo di scienziate e ricercatrici hanno dovuto fondare la Society for Women’s Health Research, proprio per evitare che studi basati solo sull’organismo maschile diventino taglia unica. Nel 2018, inoltre la giornalista e scrittrice americana Maya Dusenbery ha sentito la necessità di scrivere un libro best seller (non tradotto in Italia) dal titolo Doing Harm: The Truth About How Bad Medicine and Lazy Science Leave Women Dismissed, Misdiagnosed, and Sick, (Fare danni: come la cattiva medicina e la scienza pigra hanno trascurato le donne lasciandole prive di diagnosi, e sofferenti). Cosa ha comportato in sintesi, tutto questo? Le vecchie generazioni ricordano la brutta storia del Talidomide, un sedativo che veniva prescritto negli anni 50 e 60 alle donne in gravidanza e che ha causato la nascita di un gran numero di bambini affetti da deformità. Arrivando quasi ai giorni nostri, si sa che di tutti i farmaci ritirati dal mercato fra il 1997 e il 2000, ben otto presentavano controindicazioni solo nelle donne. Perché? Perché tutto questo era stato sperimentato solo su uomini. La scusa è che per molto tempo si è creduto che essendo le donne il “contenitore” degli ovuli da fecondare non potevano essere scelte come volontarie della sperimentazione dei farmaci, per non comprometterne la fertilità. Oggi non ci crede più nessuno. Semplicemente, la ricerca sulla biologia maschile era considerata un investimento più serio.