Di storie dell'orrore sulle nostre prime volte – ma anche le seconde, le terze, le quarte – con gli assorbenti interni – sono pieni certi diari adolescenziali chiusi con il lucchetto, e le nostre memorie, che, nonostante gli sforzi, non riescono a cancellarle. Tampax ha addirittura pensato di trasformarle, con molta ironia, in dei brevi video a scopo illustrativo nei quali giovani donne ricordano quelle volte nelle quali hanno scelto la misura sbagliata, o, nell'innocenza dell'adolescenza, hanno pensato che fosse un'idea buona e giusta, proporre un'app che localizzasse la posizione del tampone nell'utero, e consigliare quella corretta (forse perché chiedere consigli alla mamma su come funziona un assorbente interno sembrava troppo démodé). Un'idea "copiata" anche dalla sede italiana del brand, che ha assoldato atlete giovanissime come Martina Maggio, nella squadra di ginnastica della Nazionale italiana, e la campionessa paralimpica di nuoto Carlotta Gilli, per farsi raccontare la comodità di un oggetto del genere, anche nel loro caso, quello di atlete per le quali è assolutamente impossibile mettersi in panchina anche solo per cinque giorni. Sul suo profilo instagram, con uguale ironia, il brand regala perle di saggezza di quelle alle quali reagire con l'emoticon del "facepalm", tipo di quando, nel 1983, gli ingegneri aerospaziali americani chiesero alla prima donna che sarebbe mai andata nello spazio per una settimana, se avesse bisogno di 100 assorbenti, o di come, nel 2020, 40 persone a settimana chiedano ancora a Google "come inserire un tampone"? Ma come, esattamente, è venuto alla luce quel batuffolo di cotone che è stato capace di cambiare la vita alle donne?

Le storie sono molteplici, e cariche anche di un certo mistero, quando si va indietro di millenni – in effetti, molte cose sono cambiate con la modernità, ma le mestruazioni, purtroppo o per fortuna, sono sempre esistite – e i primi a pensare ad un tampone vaginale, furono i sempre creativi Antichi Egizi. Non servivano però a contenere i flussi, ma a combattere altri problemi medici, come il prolasso: seguaci di quel naturalismo esoterico tipico delle religioni più antiche, gli Egizi erano convinti che la soluzione si trovasse nelle profondità della terra, così crearono degli impacchi di terra del Nilo, miele e galena – un minerale appartenente al gruppo dei solfuri di piombo in un sacchetto di tessuto, da inserire poi nella cavità vaginale. Se si potesse parlare con le Egizie, chissà cosa avrebbero oggi da dirci, oltre che lamentarsi delle molteplici infezioni che quel prodotto, un antenato del "pessario" medico, causò loro, ma a loro discolpa, gli uomini erano animati, per una volta, dalla migliore delle intenzioni. Nell'India del IV secolo, invece, i tamponi si usavano come strumenti per controllare – e scongiurare – le gravidanze. Nel sacchetto in lino si racchiudevano olio e salgemma: e forse, chissà, gli indiani potevano anche aver ragione dato che la salgemma è uno spermicida pressoché letale. Solo i sapienti giapponesi utilizzavano il tampone interno con l'uso che gli attribuiamo oggi, quello del controllo del ciclo, anche se non erano esattamente efficaci visto che, in alcuni antichi documenti, si vagheggia di una necessità di cambiarli fino a 12 volte al giorno. Formalmente, l'invenzione dell'assorbente interno è ascrivibile a un dottore del Colorado, tale Hearle Haas, che ottenne il brevetto nel 1931. A comprarlo, nel 1933, per la ragguardevole somma di 32 mila dollari, e commercializzarlo, fu ovviamente una donna, Gertrude Tendrich, tedesca emigrata a Denver, che iniziò cucendoli in casa, per poi fondare l'impero dei Tampax.

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Quegli iniziali – che esistono, con minime modifiche ancora oggi – erano forniti di un applicatore, cioè un tubetto in plastica o cartone, che, per alcune donne, rendeva più facile l'inserimento del tampone, pigiando proprio su quel tubetto, che poi, completata l'operazione del posizionamento, era da buttare. Per dire quanto le donne aspettassero un'idea del genere, si può solo citare il dato che nei primi sette anni sul mercato, i Tampax crebbero d'utilizzo, essenzialmente quintuplicandosi: e anche se poi arrivò la seconda guerra mondiale e le aziende produttrici, in tempi di emergenza, si convertirono nella produzione di camici e bende, il loro dominio era appena iniziato, anche perché, ormai divenute parte della forza lavoro, in quei tempi difficili, le donne avevano più che mai bisogno di essere efficienti al massimo delle loro possibilità. Certo, le resistenze che questo tipo di strumento sanitario dovette incontrare furono molteplici, e passavano dalla semplice bigotteria (sui canali della televisione americana, la prima a pronunciare la parola "ciclo", in una pubblicità fu una giovanissima e impavida Courtney Cox nel 1985) alla resistenza religiosa di gruppi rimasti un po' bloccati nel tempo, si immagina circa al 1300, e che sostenevano che gli assorbenti interni avrebbero creato sordidi fantasie nelle menti malleabili delle sue giovani utilizzatrici, o che avrebbero potuto causare la perdita della verginità. Una resistenza che, in parte, fu cruciale nell'impedire alla televisione americana di trasmettere spot pubblicitari legati al prodotto, almeno fino al 1972.

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A perfezionare ulteriormente il progetto, mostrando una visionaria attenzione per la sostenibilità, fu un'altra donna tedesca, la ginecologa Judith Esser-Mittag: ne immaginò uno simile a quello di Earle Haas, che già spopolava negli Stati Uniti, e appariva tra le pagine pubblicitarie dei giornali, ma che fosse privo dell'applicatore in plastica. Gli strati di cotone e rayon iniziale, arrotolati, e capaci di espandersi in maniera uniforme una volta posizionati, costituivano un assorbente O. B. – poi divenuto nome di un altro brand produttore – la cui onomastica è legata all'acronimo tedesco Ohne binde, traducibile come "senza cuscinetto". Chiamati "digital tampon"in quanto per il loro inserimento erano necessarie soltanto le dita, la composizione dell'idea di Mittag era molto più ecologicamente sostenibile, mancando della plastica, e venendo al 90% da fonti rinnovabili. Così, con una praticità teutonica, cambiò la vita di milioni di donne che, come lei erano stanche della schiavitù dagli assorbenti classici: Judith era infatti provetta nuotatrice e non voleva rinunciare alle sue vasche in piscina, neanche in quei giorni. Essendo una professionista della salute delle donne, era nella posizione perfetta per fare qualcosa di finalmente efficace in merito.

Quell'idea, concepita nel 1936, fu commercializzata dieci anni dopo grazie all'azienda tedesca Carl Hahn, per la quale Judith lavorava come consulente: il gruppo fu poi acquisito dalla Johnson & Johnson. La multinazionale proseguì con la produzione, inventandosi diverse forme e 3 diversi livelli di assorbenza. Orgogliosa – a pieno titolo – di quell'invenzione, Judith apparse persino in una pubblicità televisiva, quando il prodotto venne commercializzato negli Stati Uniti, magnificandone le capacità, e la portata rivoluzionaria che quel piccolo cono di cotone portava con sé, regalando sicurezza a tutte le donne che volevano sentirsi a loro agio, anche nelle situazioni più scomode. Nella variante cartacea di quella pubblicità, c'era una foto di Judith, già fornita di un caschetto bianco, un foulard a stampa geometrica appoggiato sul collo, e l'espressione vivace, che spiegava ad un paio di donne più giovani come "un tampone dovesse funzionare rispettando il corpo di una donna, garantendole la protezione più efficace possibile". In barba a certi moralismi che ci dovrebbero impedire, per cortesia rispetto agli altri – sottotitolo, gli uomini –di parlarne, la pubblicità, oltre alla foto, si dilungava in spiegazioni scientifiche, riportando frasi come «la vagina non è un canale levigato e cavo, ma al contrario, ha curve e fessure, cambia da un momento all'altro: è un organo vivente. La sua forma ha determinato la forma dell'O.b., che si adatta al corpo che abita per fornirgli sicurezza. Il migliore applicatore per un tampone è "nessun applicatore". Inserendolo da sole, si seguono le curve dell'organo, e lo si posiziona dove funzionerà in maniera più efficace». Judith Esser Mittag è scomparsa questo maggio, alla ragguardevole età di 99 anni: e siamo abbastanza sicure che, ad allungarle la vita, sia stata anche quella geniale invenzione.