"La pelata è la chioma del 2000". Gabriele D’Annunzio, almeno in questo caso, aveva visto giusto: mai come adesso il futuro è stato calvo. Ogni anno e studio sociobiologico che passano, è sempre più evidente che le teste maschili folte sono state a lungo sopravvalutate e che l’uomo dignitosamente pelato è ormai pronto a vedersi riconosciuto dalla società contemporanea il fatto che, in materia di capelli, proprio come nell’architettura di Mies van Der Rohe, less is more. Ma non sempre i pelatoni hanno avuto vita facile. Prendete i vichinghi, che provavano a resuscitarsi i follicoli cospargendo la testa di escrementi d’oca. Va da sé che quando l’esperimento, puntualmente, falliva, venivano loro in soccorso i noti copricapo in ferro che, ispirati a quello di Odino — Hjálmberi, "colui che porta l'elmo" — hanno reso gli opinion leader norreni quei fenomenali energumeni dalla testa di metallo che tutti ricordiamo: ignari antesignani della poetica del badass spennati che Andre Agassi per il tennis e Mastro Lindo per l’economia domestica hanno traghettato nell’immaginario odierno.

E alla fine arrivarono i calvi alfa cinematografici

Il fatto è che anticamente il capello ottimo e abbondante era condizione necessaria per lo sviluppo — o, quantomeno, la comunicazione — di forza e bellezza maschili. Questo sia nella buona che nella cattiva sorte. Sansone morrà, di fatto, per un taglio sbagliato; figuriamoci che sarebbe successo se i capelli gli fossero caduti, androgeneticamente, da soli. Sono notissimi, del resto, il riporto di Giulio Cesare e l’ansia da diradamento di Domiziano. Per il figlio di Vespasiano combattere la calvizie era così importante che, tra un assassinio e un incesto, trovò il tempo di pubblicare un volumetto di self help intitolato “Sulla cura dei capelli”. Se gli eroi e i politici dell’antichità erano tutti chiaramente pro capelli, era solo nel campo della filosofia, tutt’al più in quello della pedagogia che, con una testa folta, non andavi da nessuna parte. Passano i secoli e ancora ai tempi della prima Hollywood, che tanto ha pesato sul design del maschio ideale novecentesco, ai calvi, anche ai più fotogenici tra essi, spettavano solo ruoli da cattivi o scalognati. Uno dei primi a rompere questa tradizione di tricocrazia fu Yul Brynner. Quando fu scritturato per il ruolo del pistolero dabbene nei Magnifici sette di John Sturges non aveva più una sola ciocca sulla testa. Il resto lo hanno fatto prima Sean Connery e Samuel L. Jackson e poi Jason Statham e The Rock, solo per citare alcuni casi esemplari di calvi alfa cinematografici.

La padronanza di un pelato è una delle poche cose che ancora non si possono comprare

È solo grazie all’autostima e alla lungimiranza di questi pionieri del pelato pride siamo giunti al tempo dei grandi CEO non piliferi: come Jeff Bezos, il cui cranio lucidissimo e ineffabile riflette l’ammirazione e il rosicamento del mondo intero, a tutti gli effetti facendolo assurgere al ruolo di Bruce Willis della globalizzazione. Vince la sicurezza di fare tutto quello che gli altri uomini fanno coi capelli, senza averli. Non è un tipo di sicurezza che si può improvvisare, deve essere guadagnata capello dopo capello, disceso come foglie in autunno, come se non ci fosse una primavera. La pelata è segno di un potere intellettuale, culturale ed economico talmente riconoscibile da aver generato il fenomeno dei toupée inversi delle tante rasature a zero immotivate che, altrettanto illusorie di un trapianto, sono la dimostrazione che la padronanza di un pelato è una delle poche cose che ancora non si possono comprare. Un capelluto ha un bel provare a emulare un calvo: anche quando riesce a tenere a bada la ricrescita, resterà sempre, sostanzialmente, un calvo fake. (Come per diversi altri campi in cui è il migliore esempio negativo possibile, non c’è peggior calvo fake di Donald Trump, sebbene probabilmente calvo lo sia davvero. Ma forse sfoggia un riporto così esageratamente ridicolo che, paradossalmente, può essere posto sullo stesso piano di sicumera di una pelato totale).

Lasciamo l’uomo con i capelli alle donne prive di immaginazione

Al contrario, l’uomo che indossi la sua pelata con la dignità di una corona (o comunque con più dignità di un cappellino da baseball di Ron Howard) è di fatto irresistibile. Che meraviglia quando il calvo di casa si rivela nel mezzo di un soggiorno, facendo capolino dal divano come un uomo-duomo, il cui cupolone carnoso non ha niente di semantico da invidiare, fatte le dovute proporzioni, alle volte a calotta circolare celebrate dalla storia dell’architettura religiosa di più epoche e civiltà, come punto di contatto tra l’uomo e la divinità. Un mezzo per ascendere, al di là delle forze gravitazionali che tanti dolori addussero ai ciuffi e alle frange. Per il suo amante la testa di un pelatone è un tablet con interfaccia a baci, con preinstallate tutte le app che servono: la sutura coronale, la glabella, per non parlare della magnificenza dell’osso frontale. Tutte icone da sfiorare per sbloccare altrettante feature aggiuntive dell’amore. Lasciamo l’uomo con i capelli alle donne prive di immaginazione. Il suo cranio è un second screen della vita coniugale, dove mente e corpo si trasmettono e si amplificano. Volete mettere il piacere sublime di scrivergli in testa ti amo con la crema protettiva, al confronto del banale passargli le dita tra i capelli, magari gelatinosi o secchi?

L’amore vero è senza capelli e con la pancia?

Sessualmente parlando gli uomini calvi si dividono in due categorie: quelli da Che bisogno c’è di capelli con un fisico così e quelli da L’amore vero è senza capelli e con la pancia. Il capello maschile, infatti, è sempre più una corda da bondage che lega a cure e fastidi di cui si può fare volentieri a meno. C’è poi chi predilige il pelato full e chi il pelato con capelli a ferro di cavallo (o “piazza in testa”), disposti sui lati. Per molti sono questi i più eleganti di tutti. Mostrano il non finito michelangiolesco della calvizie. Se ben pareggiata la loro è una sublime acconciatura, la più semplice e eppure la più appagante; un vero uovo di Colombo del taglio maschile, che restituisce in pochi tocchi eleganza e rispettabilità anche al più dimesso dei look (provare per credere anche in tuta acetata da revival della quarantena).

Non vivono con l’angoscia che prima o poi resteranno senza capelli, si sono già tolti il pensiero

Oltre a quelli evoluzionistici già enunciati, non sono pochi i vantaggi pratici di cui godono i calvi alfa e chi ha la fortuna di stare loro vicino. Per prima cosa non vivono con l’angoscia che prima o poi resteranno senza capelli, perché si sono già tolti il pensiero. Avendo accettato la loro realtà, possono dedicarsi ad altre priorità, e non passare il già poco tempo libero a cercare di contrastare infruttuosamente e costosamente quella realtà. Inoltre non c’è rischio che tingano i capelli, col tempo; o che imbiondiscano d’estate. È azzerata ogni forma di rivalità, nel caso aveste a disposizione un solo bagno. Non vi finiscono lo shampoo. Al momento del bisogno è possibile afferrarli comodamente come una palla da bowling magica che fa sempre strike. Amare la loro calvizie è l’inizio di un idillio che dura una vita.

Una testa calva è ormai l’equivalente umano delle ruote del pavone maschio in amore

Il calvo alfa non ha certo bisogno di rispondere agli sberleffi dei coetanei con più capelli e meno charme ma, se proprio dovesse, potrebbe usare un argomento infallibile, alla Tenente Kojak: la pelata non lo avvicina alla vecchiaia ma lo ringiovanisce al punto da riportarlo allo status tricologico della nascita (ma con tanta esperienza in più). Se dovessimo dare ragione a Kojak, i capelloni sarebbero semplicemente sopravvissuti troppo a lungo, quasi per uno scherzo del darwinismo. Avrebbero dovuto lentamente diradarsi, al contrario delle loro chiome, più o meno da quando i riti della selezione sessuale umana non sono fondati più su principi sensoriali (se mai lo sono stati), ma su più sottili considerazioni e calcoli di natura socio-culturale, come la voglia di carisma o la stima del conto in banca. Una testa calva è ormai l’equivalente umano delle ruote del pavone maschio in amore. Gli studi scientifici la cui bibbia è un articolo di Frank Muscarella della Barry University della Florida sostengono, infatti, che un uomo calvo ispiri senso di protezione in un modo non minaccioso ma ben percepibile e dunque ancora più vincente, in amore come in evoluzione, dell’aggressività di una zazzera da competizione. Certo se poi avete anche i pettorali di Dwayne Johnson o i pacchetti azionari di Jeff Bezos, meglio ancora.