Cronaca di una conversazione: “Allora, per il compleanno di mamma facciamo la torta mimosa o un bel tiramisù?”. Risposta: “Okay”. “Okay quale?”. Silenzio. “Ma mi stai ascoltando?”. Confessatelo: una situazione del genere ci sta capitando sempre più spesso. E “mi stai ascoltando?” è una frase che ci capita di dire sempre più spesso. O di sentirci dire, perché i motivi dell’abbassamento dell’attenzione fra interlocutori ci riguardano tutti e cominciano a essere un po’ seccanti. Il massimo del disagio è quando non c’è nemmeno il filtro del telefono fra noi e l’altro: siamo al ristorante, o su un mezzo pubblico per andare al lavoro insieme, e mentre stiamo raccontando qualcosa che sembrava gli interessasse, l’altro sembra rispondere a un comando telepatico che gli impone di controllare il cellulare, o di scrivere un messaggio che gli è venuto in mente, prima che se lo dimentichi. È abbastanza frustrante. Torna utile solo in un’occasione: quando si fa una gaffe, si dice qualcosa che non andava detto, si lascia trapelare per sbaglio un segreto. E mentre si sente il panico montare e il rossore salire alle guance, ci si rende conto con sollievo che la persona che hai davanti non se n’è proprio accorta. E pensi che per fortuna non siamo in quella puntata di Black Mirror in cui nella testa della gente ci sono dei dispositivi per rivedere il passato, come un decoder My Sky, quando perdi la battuta dell’attore.

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“La mente è occupata da più cose e quindi si dà meno energia a qualcosa nel momento della conversazione”, conferma la psicoterapeuta Valentina Battisti. “Ormai siamo abituati a fare e sentire più cose contemporaneamente ma non dovremmo esagerare: l'essere ‘occupati’ mentalmente non fa sintonizzare con l'altro, c’è perdita di neuroni specchio base di empatia e di immedesimazione ai problemi altrui. Si perdono cose importanti, come per esempio il rapporto con fratelli, partner o amici”. Considerato che la frase “perché non mi ascolta mai nessuno” è parecchio cercata nel mare delle mezze certezze impalpabili di internet, l’argomento è arrivato a interessare anche il Wall Street Journal. La giornalista Elizabeth Bernstein ha interpellato infatti la terapista di coppia Traci Ruble che ha avviato a San Francisco l’iniziativa Sidewalk Talk, con la quale 4000 volontari si mettono a disposizione dei passanti per strada per conversarci di tutto quello che vogliono. Ruble ha fatto presente più o meno che sì, c’entra la tecnologia, c'entra il multitasking e c'entrano i tanti pensieri, ma spesso la causa della caduta dell’attenzione dell’altro siamo noi. Non facciamo del vittimismo: è vero.

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Da sempre la psicologia ha dato consigli e indicazioni per capire come mai veniamo ascoltati poco e forse i tempi attuali hanno solo amplificato quei fattori. Ad esempio, secondo una regola conclamata, ma non a tutti nota, l’abitudine di riversare sugli altri le lamentele contro l'universo senza concluderle con un’ipotesi di soluzione al problema è un ottimo sistema per far fuggire l’altro già prima che cominciamo a parlare (mettiamoci pure le immagini più o meno vere che girano sui social e che mostrano come si impoverisce il cervello di una persona costretta ad ascoltare continuamente lamentele, e il gioco è fatto). La dottoressa Ruble consiglia anche di calibrare l’andamento della conversazione. Se cominciamo a riversare sull’altro un’ondata di parole senza mai prendere respiro (abbiamo tutti un amica/o che lo fa, magari aggiungendo un colpetto alla nostra spalla con la punta delle dita) chi ci ascolta si concentrerà solo sull’ansia che gli stiamo contagiando. Normale che poi cerchi una via di fuga. C’è poi chi consiglia di fare un esame di coscienza per chiedersi se siamo noi stessi degli ascoltatori degli altri. O se abbiamo, ad esempio, quel vizio insopportabile di interrompere per anticipare la conclusione del concetto che sta esponendo l’altro, per giunta sbagliando. Non ci si può aspettare che qualcuno ci ascolti quando noi per primi non lo facciamo con lei o lui. Idem se quando parliamo torniamo sempre sugli stessi argomenti (il partner che ci ha lasciato, il partner che si comporta male, il capo tiranno, i colleghi antipatici), se per ogni argomento affrontato dall’altro fingiamo di ascoltarlo mentre pensiamo a come interromperlo per innestare nel suo discorso una nostra esperienza simile che reputiamo più clamorosa della sua (che poi l’altro non vorrà ascoltare, ovvio). Se poi per esprimerci usiamo sempre modi di dire e frasi fatte che banalizzano, tipo “non ho parole”, “dove arriveremo di questo passo” etc. non possiamo aspettarci che tutti tacciano quando stiamo per aprire bocca. E da ora, proviamo a fare un po’ di autoanalisi, e sforziamoci di ignorare quello smartphone, mentre stiamo intrattenendo un rapporto umano che, sì, è molto più importante di cento like.