Dove sono finite tutte le nostre belle risate? Se ridere guarisce, rafforza lo spirito di gruppo, mantiene elastica la pelle del viso e rende più facile la vita a chi ci circonda, perché è così raro avvertire il frastuono allegro di quel temporale contagioso che si scatena sul volto del vicino? Perché se le donne interpellate in materia di uomini rispondono spesso: ne voglio uno che mi faccia ridere, il riso si è nascosto; e soprattutto, cosa possiamo fare per ritrovarlo al nostro fianco, alleato per momenti di stress, noia o dolore? Chi l’ha sottratto? La ricerca è lunga e il momento non aiuta. Perché mai si dovrebbe ridere in tempi così... E seguono aggettivi come: bui, orribili, violenti.

Per non arrendersi e individuare qualche ladro di sghignazzate, occorre guardare in alto. La risata è stata fagocitata dal potere. È come se fosse emigrata dal mondo che ci circonda e in cui cerchiamo amore, consenso o leggerezza a quello che ci sovrasta. Siamo entrati nella stagione dell’imbarazzante e il campione è Donald Trump.
Il centro Media and Public Affairs della George Mason University ha calcolato che su 6.237 monologhi serali dei più celebri umoristi nel primo anno di presidenza, il 49% lo riguardava. Neanche a noi mancano bisticci logici in chi è al governo o lo spettacolo grottesco di alcuni ministri. Ridiamo di loro, c’imbarazziamo; poi soffriamo: è abusare dell’ormone della felicità al posto del Maalox. Dopo il fallimento di ogni soluzione razionale, non ci sorprendiamo che l’illusionista Uri Geller abbia promesso di fermare la Brexit con la telepatia. Una speranza c’è: sono poche le donne che occupano il potere in modo ridicolo.

Torniamo tra noi: potremmo aver voglia di divertirci leggendo un libro. Un’occhiata alla dozzina dello Strega 2019. I temi spaziano tra: crisi di coppia, una giovane deturpata dal vaiolo. Milano tra gli attentati di piazza Fontana e della Questura, il suicidio di un padre, una maestra in pensione che non ha rapporti con la propria famiglia e si fa bastare quello con un anziano malato e di cui è costretta a fare la badante... E nei gialli, il genere più popolare, esiste un detective non depresso o senza problemi esistenziali? Avremo forse bisogno di trovare un indizio per ridere nonostante.

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Le serie sono il nostro Prozac da banco. Per ghignare di gusto, occorre però la macchina del tempo. Friends. 30 Rock. Arrested Development. Devono aver trattenuto le risate spumeggianti alla frontiera degli anni Dieci. Ora ci toccano le inquietudini prostatiche di Michael Douglas nel Metodo Kominsky, la pena per i videomessaggi della moglie defunta di Ricky Gervais in After Life. Meglio con le donne: si sghignazza senza riserve grazie alla luminosa, Marvelous Mrs. Maisel. Buona commedia senza ruminazioni esistenziali, perché ci hai abbandonato?

È in uscita un film sugli ultimi anni della coppia di comici più celebre di sempre, Stanlio e Ollio. Steve Coogan e John C. Reilly sono due interpreti eccellenti. Commovente è il ritratto dello sforzo per restare a galla davanti all’assalto della tv. Sul letto di malattia, Ollio sfodera la battuta: «Se qualcuno verrà al mio funerale con la faccia triste non gli rivolgerò più la parola». È un’illuminazione: ridere tra le difficoltà è vedere la vita dal punto di vista di quell’irrazionale, ingenuo, non inquadrabile bambino che siamo stati. Appartiene al tempo in cui si contava su una solidarietà naturale: perdere il respiro, lacrimare, slogarsi la mascella, e allora lasciarsi andare di nuovo. Mio padre insiste a mostrare alla nipote i video di Stanlio e Ollio. Ero perplesso. Ora lo capisco: vuole che lei trattenga una particella di presente.

È lottare contro il tempo che passa, ridere. In uno studio risulta che trascorriamo undici anni davanti alla televisione e 115 giorni ridendo: tanti. Poi leggo che il 90% risale alla nostra infanzia. A proposito di tempi: la ladra più agguerrita di risate è la tecnologia. Verrebbe da dire che la tecnica sta cannibalizzando il nostro riso. Il ricorrere alle faccine, i commenti con meme riciclati, inoltrare battute altrui: è delegare l’umorismo a estranei. C’è un lato magico. Sembra che Amazon non riesca a risolvere un bug del suo assistente digitale. Capita che nel silenzio, senza essere interpellato Alexa scoppi in una ghignata. È su YouTube. Il riso era soltanto nostro e di pochi altri, fortunati, animali.

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Come riprenderci qualcosa di così profondamente umano? Ci sono pochi manuali. Abbondano quelli che vorrebbero togliere scompiglio dalle nostre esistenze. Avremmo bisogno di un Magico potere della risata, ma non esiste. Somiglierebbe a una guida per amare. E ridere è il cavallo più pazzo che abbiamo, l’unica emozione che si può condividere con un nemico. Nemmeno la scienza capisce cosa capiti davvero nel nostro cervello, però ci avverte che noi non ridiamo quando pensiamo di farlo, né per ciò che crediamo ci faccia divertire.

Tocca a noi. C’è una frase dello scrittore John Cheever: “Se puoi ridere, puoi vivere”. Si può ribaltare: se vivi davvero e vicino ai sentimenti, allora puoi ridere, che non è una reazione nervosa, ma un comportamento sociale adottato per mostrare all’altro che ci piace, lo comprendiamo. È una livella: abbassa le difese costringendo ad accorgerci che non siamo distanti da chi la pensa diversamente. Ridi per essere amato. La possibilità che ci capiti è trenta volte maggiore se siamo in compagnia. L’esperienza di un cinema in cui un’ondata ridanciana investe i corpi stretti nelle sedie è tutt’altra cosa che guardare un film in cuffia sul tablet, tra sguardi esclusi. Se ci dimentichiamo di ridere è perché non siamo in relazione con altri, mentre avremmo un gran bisogno di una quotidianità ricca di attriti gentili.

E se ragioniamo, le volte che ridiamo per una barzelletta sono molto meno di quelle in cui capita per una frase che non diverte, ma è una finestra nell’intimità dell’altro, un regalo per farci dimenticare fatiche e sofferenze. Quando il predicatore di Non ci resta che piangere insegue Mario (Massimo Troisi) - Ricordati che devi morire! - Mario risponde: Sì, sì... no... mo’ me lo segno proprio! La risata senza freni mi ha aiutato quando tentavo di riavvicinarmi a un figlio adolescente e distante. Ridere insieme per Jim Carrey e Bart Simpson aprì la strada. Sono appena stato contestato dalla mia compagna perché ho fatto vedere Scemo & più scemo alla figlia di nove anni. «È volgare». Vero, però così io avrò la responsabilità di provare a insegnarle che cosa sia etico. Perché poi possa ridere per la cosa sbagliata, proprio perché conosce quella giusta.

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Oltre l’eccesso di perbenismo o la violenza discriminatoria, far ridere in modo etico è la terza strada, è una scommessa bella e importante. Anche perché niente batte lo humour. Gli scozzesi hanno ricevuto Trump con un dirigibile arancione a forma di bambino, cellulare in mano. Trump odia il ridicolo. Quando alle Nazioni Unite il presidente ha affermato che, in meno di due anni, la sua amministrazione aveva fatto più di ogni altra nella storia del Paese, si sono messi a ridere. Su Twitter, Trump ha commentato: “Non mi aspettavo questa reazione. Pazienza”. Le risate scottano.

Le risate salvano. Una delle più importanti scrittrici australiane, Charlotte Wood, ha pubblicato sul Guardian il saggio Se i tempi sono difficili, ridere è una scelta etica. Scrive: “Il riso porta con sé ottimismo e diventa una scelta etica perché è il rifiuto di accettare che ciò che è stato fatto sia irrevocabile, la tragedia inevitabile e il mondo immutabile. E dimostra che forse un nuovo mondo è lì pronto per essere costruito”. L’ilarità non può essere confinata in una giornata (comunque il World Laughter Day è il 5 maggio), o sfruttata da professionisti di rigologia (termine francese) per smussare contrasti nello staff di società o istituzioni. “Le poesie, prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà”. È di Eugenio Montale; al posto di “poesie”, si metta “risate”. Il poeta cita poi Adamo ed Eva: nudi e incoscienti, giocavano. “Poesia”, scrive, “è recuperare quel dono lì”. Se giocavano, vuol dire che ridevano.