Questo è il momento in cui rifletto maggiormente, la sospensione della vita che stiamo subendo tutti favorisce l’osservazione e la riflessione sui diversi aspetti della nostra vita. Stare a casa con il proprio figlio è un privilegio per una mamma che lavora: metti finalmente da parte i sensi di colpa e ti dedichi, perché quando ci sei tu, lui vuole te e solo te e, ammettiamolo, non passiamo mai così tanto tempo con i nostri figli. Un tempo che ora diventa anche di qualità perché questo è il mio principale obiettivo: il suo benessere. Occuparsi di un bimbo come Leone, un ADHD (disturbo da deficit di attenzione iperattività ndr) non verbale che rientra nello spettro autistico è già un’esperienza unica di vita, in quarantena lo è ancor di più.

I primi 12 giorni sono stati idilliaci, lui con tutta la sua gioia e il suo entusiasmo di averci a casa con lui h24 era convinto che stessimo in vacanza, mi sembrava di rivederlo quest’estate in Sicilia. Grandi risate, relax, sorrisi, coccole voglia di giocare anche a casa pur di stare insieme. Poi mano a mano che sono aumentati i giorni la sua condizione incontrollabile ha preso il sopravvento. I bambini come lui hanno bisogno di routine e di prevedibilità, si attaccano alle abitudini per rassicurarsi: quando Leone ha realizzato che la scuola, i compagni, il papà, la terapia, il centro di riabilitazione non facevano più parte della sua vita, ha iniziato a soffrire nel suo modo particolare.

Leone non parla, non ha la voce per dire per testimoniare le sue emozioni e lo fa come può: stereotipie continue, rabbia, urla, crisi di pianto, frustrazione e paura. La paura abita ancora di più la sua anima. E non ci sono parole per rassicuralo perché le parole non oltrepassano la barriera dei suoi sintomi. Il mondo è fuori e lui sembra solo all’interno del suo muro.

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Leona mentre disegna a casa

Per un genitore non è semplice fare i conti con l’impotenza e non si riesce sempre a mettere da parte il nervosismo. L’istinto è sempre quello di urlare perché anche noi adulti ci spaventiamo, ma ahimè è necessario non farlo, perché qui le giornate sono lunghe e l’energia e l’attenzione ruotano intorno a Lui. Mi rendo conto che l’accesso a Leone è fatto di piccole cose, lo guardo, abbasso la voce, affievolisco le mie paure perché devo entrare piano piano nelle sue, tento come posso di strapparlo all’angoscia. Non ci sono parole ma gesti, lenti, piccoli movimenti, lo sfioro, lo abbraccio quando lui me lo concede, il più delle volte tento di oltrepassare quella soglia rispettando come posso quel confine tra il mio linguaggio e il suo. Ogni giorno io, la tata, il mio compagno, proviamo a riempire questi spazi vuoti, cercando di rendere la sua vita più “normale” e impedendo all’autismo di farsi strada con maggior potenza e sconquassare mio figlio, infilandosi in ogni spazio.

Organizzare la giornata diventa fondamentale, per dargli punti riferimento e una prevedibilità a cui aggrapparsi

La mattina, una volta concesso a tutti un po’ di relax e di coccole, si esce un’ora sotto casa, in zona protetta e isolata con le dovute precauzioni (per i bambini con esigenze speciali, anche la regione Lazio ha rilasciato una normativa che ci autorizza a uscire due volte al giorno) per non farlo uscire a vuoto, gli abbiamo insegnato a usare il monopattino, così da lavorare sulla psicomotricità, punto fondamentale su cui insistere. Attraverso il gioco cerchiamo di mantenere un obiettivo educativo, utile e che rinforzi la sua autostima, cosa che Leone perde facilmente di vista. Il sorriso di Leone è la risposta al velato giudizio e pregiudizio di chi ci guarda e si chiede come mai siamo fuori noi ? Non stiamo rispettando le regole ? Alle 13 tutti insieme a tavola, prima Leone mangiava in orari diversi dai nostri, ora abbiamo colto l’occasione per dargli questa nuova abitudine, perché il momento del pranzo sia di condivisione. Apparecchiamo insieme, cerchiamo di mangiare le stesse cose e con allegria di rispettare anche delle regole. Adora questo momento insieme, anche se dove ci sono regole non è sempre facile per lui. Il pasto spesso si alterna a gioia e coccole, ma anche a risate isteriche che sono solo un diversivo per evitare di fare ciò che gli chiedi, ma si va avanti sorridendo e ignorando, interpretando quella risata come un capriccio banale che farebbe un bambino della sua età per non mangiare.

Nel primo pomeriggio è il momento della terapia, ci dedichiamo a giochi o lavoretti strutturati a tavolino, che vuol dire continuare a insegnargli i tempi di attesa, la turnazione, i colori, la motricità fine o anche dei giochi ludici, ma soprattutto a stare seduto per un’ora e mezzo, anche due, cosa che per lui è faticosissima. Pittura, puzzle, chiodini, collage, perle da infilare…È un momento spesso difficile, perché per lui la mamma non può fare terapia, perché è frustrante e mortificante e io non posso arrabbiarmi perché creo un effetto inverso. Non concluderemmo nulla. Quindi ci alterniamo e io cerco di dedicarmi soprattutto a cose che non gli diano frustrazione. La giornata prosegue, cerco di fargli trovare interesse nel cucinare e proviamo a preparare insieme biscotti, dolci e qualunque cosa mi viene in mente, assaggiamo (sempre, anche se non vuole), facciamo merenda e ci rilassiamo. Ho completamente tolto il tablet con i cartoni, che Leone adora, perché la sua creatività e la sua voglia di fare non siano frenati, ma la sera lo lascio un po’ svagarsi così. Dalle 18.30 iniziamo a mollare le tensioni e i compiti, il bagno per Leone è un momento di gioia, di grande rilassamento.

Qui inizia anche il mio spazio, comincio a respirare, a capire che ci sono anche io e che non posso dimenticarmi del tutto di me, di noi. Beviamo un buon bicchiere di vino e penso a com’ è andata la giornata, al fatto che in fondo me la sono cavata e che i giorni volano.

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Arrivano poi le 21.15 ed è l’ora della nanna. Santa abitudine, mai cambiata in anni, e che ci teniamo stretta. Si recuperano i feticci dopo esserci lavati i denti e via di corsa tra risate ed entusiasmo a letto a farci mille coccole. Un momento che Leone adora perché ama la sua stanza, i suoi spazi e addormentarsi da solo dopo i grattini.

A oggi posso dire grazie a questa quarantena. Ho imparato ad accettare di farmi aiutare dagli altri.

Mi faccio guidare sempre dalla Dott.ssa Anna Rita Verardo che ci segue da anni e mi aiuta a capire quali sono i comportamenti che possono aumentare il senso di sicurezza in Leone. Le mie reazioni emotive sono importantissime poiché anche dalla mimica facciale un genitore è in grado o viceversa può essere un ostacolo alla relazione con il proprio figlio. Ho imparato che per avere un rapporto positivo con mio figlio occorreva passare anche dalla comprensione del mio ruolo di figlia. E che spesso il passato non risolto ci impedisce di essere coerenti come genitori. La maestra di sostegno di scuola, mi chiama, manda idee di gioco, mi spiega come farlo rilassare, i compagni gli mandano dei video messaggi e la famosa chat delle mamme, che di solito tutti odiamo perché è un fiume di parole, oggi è fonte di sostegno. Ma più di tutto sono in continuo ascolto con mio figlio, riesco a vedere delle capacità che prima non notavo, capisco lavorandoci quanto il mondo esterno lo sottovaluta e quindi inconsciamente lo squalifica perché lo lascia troppo in una comfort zone invece di spronarlo.

L’autismo non si ferma mai, né per le vacanze, né per una quarantena, è sempre qui, ma se riusciamo a guardare oltre, c’è molto da scoprire e da fare e si può percepire la luce. Leone mi insegna ogni giorno qualcosa, ma soprattutto mi insegna cos’è l’entusiasmo, quello vero, per le piccole cose, quello che ti fa tenere il sorriso, la voglia di combattere e la positività, perché in fondo siamo fortunati.