Hanno tutto, almeno in apparenza. Ma nel segreto della loro solitudine, bevono. Chi sono queste donne che, sempre più numerose, cadono vittime della dipendenza da alcol? Un recente sondaggio condotto su larga scala sulla relazione tra francesi, alcol e lavoro, i cui risultati sono stati presentati il 17 maggio 2018 in occasione della terza edizione della giornata nazionale della prevenzione dei comportamenti di dipendenza negli ambienti di lavoro, rivela che delle 200mila persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni intervistate, il 15% delle donne sotto i 35 anni ha un cosiddetto uso "a rischio" di alcol rispetto al 30% degli uomini. Un fenomeno inquietante che colpisce tutte le donne, indipendentemente dal loro background sociale e professionale.

«Da oggi smetto di bere». Quanti di noi si sono fatti questa promessa il giorno dopo una sbornia? «Pensi che io sia un'alcolista?» è una domanda sempre più ricorrente, un drink in mano, tra amiche. Dietro l'apparente leggerezza di queste parole si nasconde una vera e propria preoccupazione: flirtiamo un po' troppo con l'alcol, ma non osiamo parlare con nessuno.

«I medici non pongono la domanda. E se si tocca l'argomento, troppo spesso tendono a minimizzare. Risultato: in caso di dipendenza, le cure mediche arrivano molto tardi», s'indigna Laure Charpentier, autrice di Toute honte bue, l’alcoolisme au féminin (ed. Jacques Granger) e fondatrice dell'associazione SOS Alcool Femmes.

Non possiamo immaginare che una donna che riesce a barcamenarsi su tutti i fronti possa cadere nell'alcolismo. Eppure i numeri parlano chiaro: secondo uno studio della London School of Economics condotto su 39mila persone nate nella stessa settimana del 1970 le donne laureate sono più soggette a cadere vittime dell'alcol. Se da una parte i ricercatori francesi si rifiutano di parlare di un boom dell'alcolismo femminile, dall'altra denunciano l'emergere di un fenomeno preoccupante: «Da dieci anni a questa parte si è registrato un cambiamento significativo tra le donne dirigenti tra le quali è aumentato il rischio di alcolismo», spiega la ricercatrice Laurence Simmat-Durand, specialista in dipendenze presso l'Université Paris V.

Una tendenza confermata dai dati emersi dall'indagine sul rapporto tra i francesi e l'alcol secondo la quale il 12% delle donne dirigenti registra un consumo di alcol "a rischio". Contro il 7/8% delle commesse, delle agenti di servizio e delle impiegate.

Gli uomini bevono ancora più delle donne, ma nelle categorie socio-professionali più alte, il divario di genere nel consumo di alcol tende a ridursi. «Nei Paesi nordici, dove l'uguaglianza tra uomini e donne è più "effettiva" che in Francia, l'uso di alcol è praticamente simile. L'alcolismo, quindi, può essere vissuto dalle donne come una forma di emancipazione», nota François Beck, statista e sociologo presso l'Institut national de prévention et d’éducation pour la santé.

«Bere è diventata una forma di socializzazione per le donne in posizioni di responsabilità. Quando si conclude un contratto davanti a un whisky, non si devono mostrare segni di ubriachezza», spiega Laurence Simmat-Durand.

La sbronza sarebbe, quindi, il riscatto dell'uguaglianza? «Non è così semplice», risponde Gérard Haddad, autore di Femmes et l’alcool, quatre récits d’un psychanalyste  (Grasset ed.): «Non si diventa dipendenti a dispetto di se stessi. Non riuscire a dire basta rivela un grosso trauma. Una donna che diventa alcolizzata è una donna che, in un certo momento della sua vita, è stata ferita nella sua femminilità: un aborto, un abuso sessuale, una violenza... Una profanazione del sacro patto simbolico tra uomini e donne».

Forse l'alcolismo femminile è una malattia dell'amore. «Una malattia, certo. Una malattia causata dalla mancanza di amore, una malattia della solitudine. Molte donne che vengono ai nostri gruppi sono sole, divorziate, separate. Ce ne sono alcune che apparentemente hanno tutto per essere felici - un buono stipendio, dei figli meravigliosi, un bravo marito - ma che vivono in una solitudine assoluta. In questi casi, l'alcol è un perfetto falso amico, come qualsiasi altra dipendenza tipo il cibo, il fumo, i farmaci, l'eroina. Spesso le dipendenze si sommano», afferma Laure Charpentier.

Gli esperti concordano: uscirne è molto difficile e richiede un coraggio ammirevole. Abbiamo incontrato due donne che hanno accettato di raccontarsi senza tabù.

Marie, 44 anni, direttrice di produzione, madre di un bambino: «Sì, bevo troppo e da troppo tempo, ma non trovo la forza di smettere. È difficile anche perché nel mio lavoro si beve spessissimo. Il mio lavoro consiste nel vendere film e programmi tv e creare piani di finanziamento. È tanto eccitante quanto stressante (la parola non rende l'idea). Bisogna continuamente trovare nuove idee, nuovi autori; le nostre riunioni finiscono spesso al bistrot. In ufficio spesso si stappa una bottiglia di champagne, quando si lavora fino a tardi (e capita spesso succede) o quando si festeggia la vendita di un progetto o il successo di un film. A casa non torno mai prima delle 21. Apro una bottiglia di rosé, poi un'altra e spesso un'altra ancora. Mi rilasso e mi abbruttisco. Al mattino, riemergo a pezzi e rimonto in sella.

Se vivessi con qualcuno, farei lo stesso? Non lo so. Ho iniziato a bere alcol dopo che il padre di mia figlia mi ha lasciato. Due anni più tardi ho iniziato a frequentare un uomo che già conoscevo. È un dettaglio importante perché penso che sia importante nella mia storia con l'alcol. Sono la clandestina, l'amante, mi tiene in ombra. Questo uomo non si è mai deciso a vivere con me, ha divorziato solo di recente. Cinque anni dopo il nostro l'inizio della nostra relazione sono rimasta incinta. Volevo tenere il bambino, ma per lui era fuori questione. Avere abortito mi ha distrutto! Ho provato a lasciarlo almeno dieci volte; ogni volta ricadiamo l'uno nelle braccia dell'altra, è un'attrazione fatale che non porta a nulla. Non ne è mai uscito niente di buono dalla nostra storia, ma non posso liberarmene.

Ho una meravigliosa vita professionale e una vita privata pessima. Il mio amante sa ho un debole con l'alcol, ma lo vedo solo due volte a settimana, non ha chiara la gravità della situazione. Arriva, andiamo a letto insieme, si addormenta, io vado in cucina. Il rosé è il mio segreto. Nei fine settimana, vedo spesso un amico, che non lavora. Ci troviamo a casa sua, ci scoliamo quattro bottiglie in tre ore, butto le bottiglie vuote in un bidone della spazzatura in strada, in modo che il portiere o il ragazzo del mio amico non se ne accorga. Alcune notti, quando sono a letto, mi alzo per andare a vomitare. Non sempre riesco ad arrivare per tempo in bagno e sporco dappertutto. Piango e sono disgustata. Ma bere mi avvolge di calore, ne ho bisogno. Ho paura di non riuscire ad alzarmi un giorno, è sempre più difficile.

È un disastro, lo so. Sono ingrassata molto, ho delle brutte occhiaie. Sono sempre stanca e dimentico sempre più cose: appuntamenti, bollette da pagare. Mia figlia, che vive con suo padre a causa dei miei orari folli, non se ne rende conto. Bevo qualche bicchiere quando viene a casa mia, ma ha solo 13 anni e va a letto presto. Prima di andare a letto, scendo a buttare le bottiglie. Seguire una cura? Sì, ma non ho tempo. E per trovare cosa dopo? Il vuoto, come ora?».

Martine, 50 anni, responsabile commerciale, madre di un bambino: «Signora, lei è alcolizzata». Queste parole della nutrizionista mi sembravano forti e ingiuste. Mi avevano smascherato. Ero andata da lei perché volevo perdere peso e ho dichiarato quello e quanto mangiavo e bevevo: fino a una bottiglia e mezza nelle giornate peggiori. Avevo tolto la maschera, un riflesso di sopravvivenza, immagino.

Prima di essere licenziata quasi tre anni fa, non avevo mai avuto problemi con l'alcol. Ero orgogliosa della mia carriera, avevo un ottimo stipendio, molte responsabilità, la vita scorreva. Tutto è crollato quando sono stata licenziata. In quel periodo alcune preoccupazioni familiari mi avevano reso fragile. Si aggiunge il licenziamento. Era troppo! Mi sentivo uno zero, non all'altezza. Ho avuto una depressione, una di quelle vere, e ho iniziato a flirtare con il vino. Mezza bottiglia a pranzo, una di sera, da sola. Non mi importava bere, mi anestetizzava.

Avevo recuperato il numero di SOS Alcool Femmes su un giornale. Lo avevo sempre con me, ma mi ci è voluto un anno per fare il passo. Partecipare agli incontri tra donne mi ha aiutato molto. Laure Charpentier mi ha aiutato a capire che avevo preso una strada sbagliata, senza mai colpevolizzarmi. Dopo il primo incontro, è successo qualcosa di magico: sono andata a casa, non volevo bere. La settimana successiva, sono tornata a SOS super-orgogliosa. Sono rimasta sobria per tre mesi. Poi ci sono ricaduta. Due bicchieri di champagne a una festa, qualche bicchiere a una cena. Ero sicura di me. Era una trappola.

Non ho toccato il fondo, i miei segni di avvertimento funzionano ancora. Ho trovato di nuovo lavoro. Ma il forte consumo di alcol che avevo raggiunto mi spaventava. Rifiuto l'idea di distruggermi in questo modo. Non voglio andare oltre, non sono una suicida. Alcuni giorni mi vieto di uscire per non essere tentata. Ho smesso di prendere gli antidepressivi e ho ridotto di molto l'alcol. Continuo a frequentare il gruppo di sostegno».

Il parere di Fatma Bouvet de la Maisonneuve, medico
Marie Claire: «quando si considera alcolizzata una persona?»
Fatma Bouvet de la Maisonneuve: «Un drink al giorno, eccedere una volta a settimana, una bottiglia al giorno... Varia da persona a persona. Abbiamo un problema dal momento in cui il consumo comincia a intaccare la nostra tranquillità quotidiana. Viene diagnosticata la malattia alcolica quando un paziente perde la capacità di astenersi dall'alcol. Le donne che si chiedono, anche ridendo: "Sono alcolizzata?" dovrebbero parlarne con il medico».

MC: «Come fai a sapere se sei dipendente?»
FBdlM: «La dipendenza fisica, in caso di astinenza, è accompagnata da alcuni sintomi come vomito, diarrea e tremore. Ma la maggior parte dei pazienti che viene per un consulto è vittima di una dipendenze psicologica. Molti mi dicono: "Non so cosa farò la sera se non berrò".

MC: «Qual è il target dei suoi pazienti?»
FBdlM: «Di tutti i i tipi, ho un sacco di "super-donne", come le chiamo, donne che ricoprono ruoli di responsabilità, hanno figli, fanno mille cose. Alcune di loro lavorare di più per sfuggire allo stress familiare, ai momenti cruciali (compiti, docce, cena). Molte donne che vengono per un consulto sono sulla quarantina: trascorrono i loro anni fertili a crescere sul lavoro professionale e a non trovare altro di meglio da fare che lavorare. E bere».

MC: «Nel suo libro Les femmes face à l’alcool, Résister et s’en sortir (Odile Jacob), parla del "paradosso identitario" delle donne che ricoprono posizioni di responsabilità - un paradosso ingovernabile che le spingerebbe verso l'alcool...».
FBdlM: «Lavorano come gli uomini, ma sono donne!". Anche se ricoprono posizioni precedentemente riservate agli uomini, rimangono donne e questo viene loro rimproverato. Come questo direttore delle risorse umane, per esempio, che ha detto a una delle mie pazienti che ottiene risultati eccellenti: "Non sai come gestire lo stress, prendi tutto a cuore". "Si rimprovererebbe un uomo per la sua emotività? Queste donne vivono in un enorme stato di malessere. E come non esserlo quando fai parte dei cosiddetti collaboratori "ad alto potenziale", ma una maternità segna la fine dei tuoi progressi? Ovviamente questo crea dei danni».

Ma si può spiegare l'immersione nell'alcolismo con questo tipo di stress, abbastanza comune nelle aziende, anche se ciò è inaccettabile? "La malattia alcolica è l'incontro tra un prodotto, un ambiente e una personalità. I miei pazienti hanno una cosa in comune: non hanno fiducia in se stessi, sono presi tra ciò che la società si aspetta da loro e ciò che vogliono. che sono in realtà, anche in posizione molto elevata, si sentono in una situazione di impostura. "

MC: «La storia personale gioca un ruolo determinante?».
FBdlM: «Precedenti di alcolismo da parte della madre (madre, nonna, zia) aumenta notevolmente il rischio di dipendenza da alcol. Lo riscontro questo fatto quasi sistematicamente nelle mie pazienti».

MC: «Dopo quanto tempo le donne decidono di chiedere un consulto?».
FBdlM: «Qualche anno fa c'erano donne che venivano per la prima volta da me da me con 30 anni di dipendenza alle spalle. Oggi vengono dopo uno o due anni di consumo eccessivo».

MC: «Cosa fa scattare la richiesta di un appuntamento?».
FBdlM: «Chiamano quando i loro rapporti affettivi sono minacciati, non per il lavoro. Il punto cruciale sono gli affetti».

NB : questo articolo è stato inizialmente pubblicato a dicembre 2010.