È possibile liberare la mente e rallentare la propria respirazione circondati dal rumore di una città come Milano? Grazie alla mindfulness sì. Non è necessario essere un asceta navigato, basta cimentarsi anche in un esercizio base per avere qualche risultato. "La mindfulness è una forma di consapevolezza un po' zen, che consiste nell'essere completamente presenti a ciò che accade nel qui e ora, mettendo da parte i pensieri sul passato e il futuro. Questa presenza viene coltivata assieme a una qualità fondamentale: il non giudizio. L'esperienza presente viene vissuta per quello che è, senza essere confrontata con quello che desidereremmo. Il bello è che, dopo un po', ci si accorge che abbiamo già tutto ciò che ci occorre! Per quanto feriti, o insoddisfatti, impariamo a essere sempre in grado di gioire della vita", spiega la dottoressa Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta a Roma nonché direttore del corso per istruttori di mindfulness FederPsi - SCINT e autrice di 7 Giorni di Mindfulness (FrancoAngeli, 2018, 13 euro su Amazon.it), alla redazione di Marieclaire.it trasferitasi, per una pausa detox, intorno a un tavolo in ferro battuto nel giardino di una villetta a due passi da Corso Buenos Aires a Milano.

Quello che la dottoressa Toro ci spiega prima di farci provare la pratica è che il dolore è parte della vita e, in qualche modo, ciò non è eliminabile dal nostro orizzonte quotidiano. Possiamo cambiare il modo in cui ci relazioniamo a esso, diventando meno iperreattivi e, dunque, facendo sì che anche stare male diventi un'esperienza tra le altre, né più né meno che il camminare, il mangiare, il lavorare, il fare l'amore. "Come ampiamente dimostrato nella letteratura scientifica internazionale vivere in modo mindful riduce lo stress e, con esso, tutti i suoi ormoni che hanno un ruolo fondamentale nel mantenere stati di infiammazione cronica che sono, oggi lo sappiamo, i principali responsabili di un logorio fisico che porta somatizzazioni e invecchiamento biologico. La mindfulness ha un impatto biologico importante anche sul cervello, riducendo il volume e l'attivazione dell'amigdala, il nucleo responsabile della reazione "attacco o fuga", in cui l'organismo si attiva per affrontare un pericolo imminente che, di solito, è solo nella nostra mente".

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Non stiamo più nella pelle. La mindfulness potrebbe essere la soluzione definitiva al nostro vivere sempre di corsa e con la mente proiettata su quello che dobbiamo ANCORA fare. La dottoressa Toro ci invita a restare sedute assumendo una posizione comoda, a chiudere gli occhi. La sua voce non ci lascia mai. Ci porta a rilassarci, a respirare con l'addome, a rallentare il nostro respiro e a fare tabula rasa dei nostri pensieri e delle nostre preoccupazioni. "Ora concentratevi sui rumori che vi stanno attorno, non giudicateli, viveteli". Si sente una moto che accelera poi frena, le rotelle di un trolley che si avvicina poi si allontana, la voce di un uomo che canta un motivo arabeggiante, delle campane che suonano in lontananza. Mi chiedo subito: "C'erano anche prima questi rumori? Io sentivo solo la voce della dottoressa e qualche macchina che passava".

"Ora concentratevi solo su un rumore fino a che scompare. Poi su un altro. Se i pensieri hanno il sopravvento ricominciate da capo". Mi accorgo che la lingua del signore che sto immaginando su una scala mentre sta imbiancando il soffitto di una stanza della villetta lì accanto non è arabo, ma napoletano. Sorrido. "Sorridere significa giudicare?", mi domando. Così comincio ad arrabbiarmi con me stessa perché ho appena iniziato l'esercizio e già sono fuori strada. Stop. Ricomincio. Arriva una moto, è mia. Si ferma al semaforo. Riparte e si allontana. Si allontana. Si allontana. Non la sento più. Mi manca. Sentire mancanza di qualcosa è un giudizio? Ci risiamo! Con le voci di due passanti va meglio. Le sento, me le gusto senza giudicarle. Si allontanano. Non mi interessano più. Sono fiera di me. Quindi mi sto giudicando e mi sto distogliendo dai rumori. Però sento di essere sulla buona strada. La dottoressa Toro ci fa riaprire gli occhi dopo avere suonato due o tre volte una campana tibetana.

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Mi sento molto riposata e molto calma. Sia nel respiro sia nel pensiero. Come quando ti svegli al mattino e sei ancora in modalità slow. Ci chiede come stiamo e come'è andata. "Mi sento molto bene, mi sento la mente lucida", e racconto com'è andata alle mie compagne di meditazione. Tocca a Cristiana. "Sono rimasta sorpresa, nonostante le difficoltà iniziali. Non è stato affatto semplice lasciarmi andare. Perdere “il controllo” sui miei sensi mi è sempre risultato molto difficile. Ho fatto grandi respiri, ho voluto mettermi in gioco e provare. E via. Dopo pochi minuti, con una fermezza mentale che ignoravo di potere mettere in atto, ero dentro la pratica. Sono riuscita ad abbandonarmi e a visualizzare ciò che veniva richiesto via via. Attraverso un ritmo vibrante, una serie di suoni, sono riuscita a incanalare al meglio il mio pensiero, senza lasciarmi travolgere da vagoni di pensieri inutili e pesanti. Più di tutto mi ha stupito l’approccio sonoro di meditazione. Non pensavo fosse possibile “aggrapparsi” al rumore di un motorino, all’uomo che in lontananza cantava una melodia napoletana e N altri rumori metropolitani. Eppure. Ce l’ho fatta, sono riuscita. Ho raggiunto un traguardo, una cosa che non mi sarei mai aspettata. È stata una bella sorpresa".

La dottoressa ci spiega che quello che abbiamo fatto si può fare in qualsiasi momento, ovunque e con qualsiasi cosa. "Uno dei primi esercizi che si propongono ai corsi di mindfulness è l'esercizio dell'uvetta messo a punto da Jon Kabat Zinn, il fondatore del metodo. Si prendono due acini di uvetta e li si mettono sul palmo della mano sinistra e li si guarda come se fossero oggetti sconosciuti. Li esaminiamo con i cinque sensi e poi li mangiamo. Ciò che colpisce è che, per quanto semplice, un acino non è mai esattamente uguale all'altro, a testimonianza dell'infinita ricchezza del qui e ora. Ogni giorno possiamo, poi, respirare con le dita. Si parte con l'indice destro appoggiato alla base del pollice sinistro e si inspira mentre il dito sale fino all'unghia del pollice. Si fa una piccola pausa e si scende mentre si espira in direzione dalla parte interna del pollice. Piccola pausa e poi si "respira" sull'indice, sul medio e così via, fino a cinque. Ci "risveglieremo" un po' più lucidi e più calmi", termina la dottoressa Toro. Non abbiamo provato fino a ora l'esercizio dell'uvetta, ma ogni tanto ci capita di fermarci ad assaporare più a fondo un cibo, di regalarci qualche secondo in più quando qualcosa di bello attira il nostro sguardo, di fare attenzione ai rumori e agli odori che ci stanno intorno. Un modo molto facile per accantonare, anche se solo per qualche istante, le nostre preoccupazioni che, la dottoressa Toro ci ha ripetuto più volte, sono ingigantite dal nostro pensiero. La realtà è quasi sempre più affrontabile e percorribile di quello che immaginiamo. Basta fare un passo alla volta.