Nella foto, My Name Is Red, 2018. Fili e fasce di colore rosso sono l'espressione di imposizioni e repressioni vissute dalla pittrice durante gli anni dell'adolescenza trascorsa in Iran. Nel 2015 Khosravi si è trasferita negli Stati Uniti; oggi vive nel New Jersey e ha uno studio a Manhattan.
Multilivello. Quello concepito da Arghavan Khosravi è un teorema articolato e composito anche nell'esecuzione, ovvero quella tecnica mista che dà carattere alle tavole attraverso l'utilizzo di lino e cotone, legno e cemento, in un mix materico pronto a diventare la scenografia di microcosmi sospesi. Le opere – esposte in mostre prestigiose – raccontano storie popolate da figure femminili talvolta solitarie, ma sempre ieratiche come statue.
L'iconografia risponde agli stessi canoni, carica di citazioni tra passato e presente; include echi di miniature persiane – fonte primaria di ispirazione – assieme alla scultura classica greco-romana, la fotografia di moda, la pittura rinascimentale e i feed di Instagram. Il tutto amalgamato con assoluta naturalezza. Un gioco di richiami e riferimenti complesso, a cui partecipano visioni, ricordi e frammenti di un'esistenza: quella vissuta in prima persona dall'artista, originaria dell'Iran e dal 2015 residente negli Stati Uniti.
«Sono nata nel 1984 a Shahr-e Kord e a otto anni ho seguito la mia famiglia a Teheran. Era la fase successiva alla rivoluzione del 1979, quindi sono stata testimone della trasformazione della nazione da monarchia a repubblica teocratica, con il passaggio da dittatura a stato religioso. I miei dipinti descrivono spesso questa doppia vita trascorsa durante l'infanzia e l'adolescenza. In quel periodo, infatti, in pubblico ero tenuta al rispetto della legge islamica – con l'obbligo di indossare il velo e recitare il Corano a scuola – mentre in privato potevo pensare e agire liberamente». Ecco spiegato il doppio registro che pervade ogni opera, nella quale il filo conduttore è rappresentato da un avvicendarsi di riferimenti mediorientali e occidentali, storia e contemporaneità, realtà e fantasia.
Il processo creativo diventa pratica meditativa ed elaborazione di eventi traumatici: «La giustapposizione di immagini provenienti da mondi contrastanti traduce la tensione psicologica che ho sperimentato nel mio Paese, dove solo ora la classe media è alla ricerca di uno scatto verso la modernità». Nella densità di significati e metafore emergono dettagli ricorrenti, che esprimono da un lato il dramma, dall'altro una sottile ironia. È il caso del filo rosso, talvolta sostituito da un nastro sugli occhi. «Simboleggia i limiti imposti dal potere autocratico e, più in generale, l'oppressione delle donne nelle società patriarcali». Una nota di leggerezza, invece, è introdotta da fiori delicati e persino bubble gum: «Servono a stemperare la sensazione di oscurità e tristezza che talvolta aleggia nei miei lavori. Aggiungono humour e aiutano a cristallizzare l'istante, perché le bolle fatte con il chewing-gum durano un attimo. Infine, coincidono con una scelta estetica; mi piacciono in quanto oggetti morbidi e traslucidi». Potere di una femminile alchimia di puro talento, che può permettersi note pop in un contesto raffinatissimo.