Al centro, l'opera Sooth, del 2017, dominata da una folta chioma senza volto. Ai lati, l'ironico dittico Ice Scream 1 and 2, del 2019, dove un cono gelato e un paguro sembrano impugnati come trofei da mani femminili.


I volti non si vedono mai e nemmeno le linee degli occhi o delle labbra. In compenso, imperversano le nuche, così come mani, dita e soprattutto le pettinature elaborate. Sono infatti le chiome a scandire lo scorrere del tempo in questi dipinti. La pittrice Julie Curtiss ha scelto di affidare proprio alle capigliature il segreto delle sue tele enigmatiche: «Mi affascinano perché evocano qualcosa di primordiale. Sono le uniche parti del corpo − con le unghie − a crescere autonomamente e a poter essere tagliate senza provocare dolore», spiega.

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© Julie Curtiss. Courtesy White Cube and Anton Kern Gallery
L’opera Her master’s voice realizzata nel 2017.

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Dan McMahon
La pittrice francese Julie Curtiss, 38 anni, ritratta nel suo studio di Brooklyn.

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© Julie Curtiss. Courtesy White Cube and Anton Kern Gallery
«A ispirarmi sono momenti di vita quotidiana», spiega Julie, che in Carapace, 2017, immortala una donna di spalle con i bigodini in testa.




I suoi quadri ricordano certe opere di Domenico Gnoli, uno degli interpreti più raffinati degli anni Sessanta. Romano, morto giovanissimo, anche lui ritraeva scorci di acconciature, nodi di cravatta in primo piano, tacchi vertiginosi, colletti e baveri, bottoni e nessun viso; autore di una poetica definita «una magica mescolanza di energia e sogno». Ed è un po' quello che si ritrova nell'universo di Curtiss, che mostra l'ordinario ma parla soprattutto di altro: del nostro inconscio e delle nostre paure. Le tazze da tè, le sigarette accese, i coni gelato, tutto sembra sotto controllo, ma è solo apparenza. Le protagoniste dei suoi quadri sembrano divinità in incognito e prendono le distanze dallo spettatore celando sguardi e pensieri. «Amo mescolare umorismo e oscurità. Per questo svelo solo una minima parte di ciò che avviene; tutto il resto accade fuori dalla cornice».

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© Julie Curtiss. Courtesy White Cube and Anton Kern Gallery
Il dipinto Foreboding, che la pittrice parigina ha firmato nel 2016.
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© Julie Curtiss. Courtesy White Cube and Anton Kern Gallery
Nell’enigmatico Late afternoon, del 2018, l’assenza del viso crea una distanza con lo spettatore e un alone di mistero attorno alla protagonista.

Lunghi capelli neri, una passione per Jung e un profilo Instagram da ventiseimila followers, Julie cresce nel sobborgo di Montreuil, a est di Parigi con la madre (francese) e il padre (vietnamita). Trascorre l'adolescenza a disegnare sognando di diventare illustratrice e, dopo la laurea all'École des Beaux-Arts, si trasferisce prima in Giappone, poi a Chicago e infine a New York, dove la sua vita cambia per sempre. Frequenta le avanguardie di Bushwick e lavora per quattro anni come assistente dell'artista KAWS. Il mondo dell'arte si accorge di lei nel 2017, dopo un'asta choc in cui un suo lavoro stimato 8 mila dollari viene venduto a 85 mila. È la svolta definitiva. Oggi vive a Brooklyn, dove ha uno studio situato al piano terra di una fabbrica dismessa. Con lei ci sono il marito Clinton King, scultore cresciuto in una roulotte in mezzo ai boschi dell'Ohio, e il gatto Dini, abbreviazione di Houdini. I suoi oli e le tempere, esposti in gallerie come la Anton Kern di New York e la White Cube di Londra, sfiorano il mezzo milione di dollari. «So di essere fortunata, perché fino a 34 anni non avevo nulla. Ora lavoro giorno e notte: se tutto questo finisse voglio essere pronta. Le mie tele parlano anche di quanto sia effimera la nostra esistenza».