Noi stessi non siamo semplici spettatori, ma – come lo strumentista in un'orchestra – prendiamo parte alla sinfonia naturalistica con il respiro e i passi

Teorizzata a Vancouver nei primi anni Settanta dai compositori Raymond Murray Schafer e Hildegard Westerkamp, esperta di ecologia acustica, la "passeggiata sonora" ha effetti prodigiosi sullo stress, soprattutto se rapportati alla sua disarmante semplicità.

Si tratta, infatti, di una camminata rilassata e consapevole, che invece di dare priorità alle sollecitazioni visive circostanti rende protagoniste le percezioni uditive. Può essere praticata in città o – meglio ancora – in mezzo al verde, rigorosamente senza auricolari e pedometro, perché assomiglia più a una meditazione che a un allenamento fisico.

Ogni ambiente si traduce, per chi sa ascoltare, in una composizione musicale, fatta di suoni tonici (prodotti dal vento, dall'acqua, dagli insetti o dagli uccelli) e segnali (campane, sirene, dispositivi d'allarme), ora vicini e poi progressivamente lontani, in base al proprio percorso. Noi stessi non siamo semplici spettatori, ma – come lo strumentista in un'orchestra – prendiamo parte alla sinfonia naturalistica con il respiro e i passi.

Questi ultimi, in particolare, producono un rumore differente a seconda della superficie con cui vengono a contatto (ciottoli, terra, foglie). Lo scopo finale è educare l'orecchio alla percezione sottile. Il che – attraverso l'esercizio costante – si traduce nella ricerca di una maggiore qualità per i nostri timpani. Così, il chiacchiericcio televisivo, il sottofondo radiofonico, il frastuono delle apparecchiature elettriche si trasformano in una presenza superflua, invadente o addirittura sgradita. E il silenzio riacquista un fascino prezioso, poiché in grado di farci sentire di nuovo la voce dei pensieri.