Benché attratta idealmente dal minimalismo, confesso la mia difficoltà ad aderire in toto al suo approccio quantitativo, volto a ridurre la presenza degli oggetti che popolano il nostro quotidiano in base a principi di utilizzo, efficienza, funzionalità.

Come tutti i creativi, avverto l'esigenza di sentirmi circondata da piccoli trofei non necessariamente utili ma nutrienti per la mia ispirazione. Ecco perché, leggendo il libro di Greg McKeown Essentialism – The Disciplined Pursuit of Less (nella traduzione italiana: Dritto al sodo. Come scegliere ciò che conta e vivere felici) mi sono sentita a casa. L'autore sostituisce la locuzione anglosassone less is more con l'omologa tedesca weniger aber besser (meno è "meglio", anziché "più"), facendo emergere la qualità come elemento distintivo della selezione. Essenzialismo non significa, quindi, trattenere il minimo necessario per la sopravvivenza, bensì stabilire quali siano le cose senza le quali l'esistenza risulterebbe impersonale.

Si applica alla dimensione tangibile, ma si estende anche al concetto inafferrabile di "tempo" (la nostra vera ricchezza).

E si traduce in uno sfoltimento degli impegni finalizzato a un ritmo accondiscendente e a una vita gioiosa, secondo i dettami dell'eudemonismo (la felicità come obiettivo duraturo, contrapposto al piacere immediato dell'edonismo).

Dire sempre "sì" regala l'illusione di essere benvoluti; imparare a pronunciare i giusti "no" rafforza l'autorevolezza. Non a caso, la parola priorità in origine prevedeva unicamente il singolare e ha introdotto il plurale solo nello stressato Novecento...