Il 2018 è stato l’anno del gin. E il 2019 sarà quello delle agavi. Lo giurano gli insider: il mondo del beverage si prepara alla riscossa dei distillati derivati dall’agave, la sacra triade agavina del pulque (il meno conosciuto in Europa), della tequila e naturalmente del mezcal o mescal, l’eterno simbolo di ancestrali tradizioni di preparazione. Il mescal è tra i più quotati non solo tra i mixologist, che tornano a sceglierlo sempre di più come base alcolica di cocktail sempre più richiesti e innovativi, ma anche bevuto in purezza per apprezzarne maggiormente il bouquet aromatico e quel sapore di lontanissimo, proibito distillato divino la cui origine si fa risale a prima della conquista del Messico da parte degli spagnoli. Mezcal col verme incluso, se proprio volete (ci torniamo più avanti). Anche il nome stesso del mescal, deriva dalla lingua dei nativi nahuatl che univano il significato di metl (agave) + ixcalli (cotto) a indicare il composto estratto dalle piante di agave dello stato meridionale di Oaxaca, che veniva preparato con un procedimento preciso e ancora oggi particolarissimo. Mossa di furbizia dei nativi mescaleros ante litteram, che ingannarono gli invasori spagnoli sostenendo come le piante di agave fossero l’unica fonte di acqua disponibile nell’arida regione: in realtà era una autocertificazione che serviva a dribblare le gabelle sugli alcolici, allora molto alte. Con un unico problema, legato alla produzione, che sarebbe stato risolto con un’intuizione geniale.

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Distillare il mescal, di per sé, non è così immediato. Come per la cugina tequila, che però si ricava soltanto dall’agave blu dello stato di Jalisco, la polpa delle piante destinate alla produzione di mescal liquore deve essere fatta cuocere a lungo per consentire un più facile scioglimento degli zuccheri che saranno necessari alla fermentazione. La tradizione è imperiosa e il disciplinare per la denominazione protetta del prodotto, depositato nel 1995 a Ginevra, prevede che soltanto la parte centrale delle migliori piante di agave maturate fino ai 6/8 anni di età possano essere donate alla nobil causa. La cottura, tanto per aggiungere delizioso e sintomatico mistero, non avviene in modernissime strutture ma in fosse scavate nel terreno e alimentate a legnetti, foglie e rami resinosi ancora verdi, che donano quel sentore difettoso tra affumicato e terroso da molti considerato il vero motivo per bere mescal. La polpa cotta delle pinas di agave viene poi molita a pietra per recuperare il succo di agave, che viene poi raccolto in vasche di legno (per quelli artigianali) o in tini di acciaio (per il mescal prodotti in larga scala). Da qui inizia la magia della fermentazione degli zuccheri, che dura dalle 36 alle 72 ore per la prima distillazione, e prosegue poi con la seconda che stabilizza il grado alcolico e regala il suo sapore personale al mescal. Sì, perché se la tequila è più pulita e (dai diciamolo) più “fighetta” come sapore, il mescal è un distillato dal sapore abbozzato, aggressivo, dissonante. Infuoca le labbra, asciuga il palato, è un cucchiaio di fuoco liquido dritto in gola. A seconda del riposo e dell’invecchiamento in botte, esistono diversi tipi di mescal: joven (giovane), reposado (riposato) e anejo (vecchio).

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E il mescal col verme? Chiamato gusado o maguey, il verme altri non è che la larva di una farfalla infestante delle piante di agave che può dare o meno sfumature rossastre al liquore. Viene aggiunto dopo l’imbottigliamento. Secondo Antonio De Leòn Rodriguez, biologo molecolare di San Luis Potosì che da appassionato e tecnico ha dedicato moltissimi studi ai processi distillatori del succo d’agave in Messico, il verme del mescal riesce a modificare la struttura del liquore, come ha raccontato a Motherboard, aumentandone i composti e gli alcol insaturi che, stando alla chimica dei feromoni, funzionano da attrazione per le specie animali. Non è ancora stato dimostrato l’effetto afrodisiaco -perché di questo si tratta- sugli umani, ma il team di studiosi guidato da De Leòn si sta impegnando anche in questo. Prima di tutto, in realtà, c’è da salvaguardare la qualità e il valore dei distillati di agave, tristemente devastati dai processi produttivi industriali in nome del profitto.

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Ma per fortuna anche in questo campo si sta muovendo qualcosa, specialmente per quanto riguarda un rialzo orgoglioso della qualità. Negli ultimi anni i piccoli produttori di mescal dislocati nei vari stati della federazione messicana che possono fregiarsi della territorialità delle agavi (Oaxaca succitato, Tamaulipas, Zacatecas, Guerrero e Durango), hanno sposato un paradosso delizioso: raffinare la produzione tornando ad antichissime tecniche di preparazione della polpa delle piante destinate alla distillazione. Il mescal artigianale sta vivendo il suo specialissimo momento. Una di queste attente case di produzione è la distilleria Eterno, che lavora le piante decennali di agave espadin (una delle tante varietà destinate alla produzione di mescal) della valle San Dionisio Ocopetec, nel Messico meridionale.

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La ricetta del mescal Eterno è centenaria, custodia gelosamente dalla quarta generazione di mezcaleros della famiglia Don Nacho: ma il succo OPS della sua unicità sta proprio nell’attenzione suprema alla corretta maturazione delle piante della regione, per le quali si attende anche 10 anni prima della raccolta. Una volta selezionate le piante migliori e pulite correttamente le pinas, la cottura si svolge lungo quattro giorni in tradizionali forni a legna a terra, poi si passa nelle antiche macine Tahona ancora mosse dai muli, come nei vecchi frantoi italiani. Il succo d’agave estratto riposa per altri cinque giorni con alcuni lieviti naturali che ne favoriscono dolcemente la fermentazione, poi si distilla due volte in piccoli alambicchi di rame. Una riscoperta lenta che mette da parte il guadagno per regalare ai veri curiosi un distillato per pochi palati. Tequila, pulque e mescal: il 2019 sarà l’anno delle agavi, ci potete giurare.