L’olio di palma fa male ed è il veleno della nostra epoca. Anzi, l'olio di palma è cancerogeno, e stop. Gli articoli su blog e siti (salutisti/approssimativi/sensazionalisti) il cui contenuto si sintetizza in queste affermazioni lapidarie sono innumerevoli. Negli ultimi anni, la polemica sull’olio di palma ha fatto scalpore e generato traffico intenso su internet, terrorizzando mamme che hanno gettato nella pattumiera confezioni di biscotti in cui compariva il famigerato ingrediente. Abbiamo iniziato a schivare marche di cui ci siamo nutriti tranquillamente fino al giorno prima, e si sono scomodati nutrizionisti che hanno versato fiumi d’inchiostro sull’argomento. Nella realtà, si è poi scoperto che l’olio di palma è semplicemente un grasso saturo, molto saturo, e i suoi danni sul corpo umano, compreso l'accusa di essere cancerogeno, sono gli stessi di tanti altri alimenti che magari contengono un po’ meno grassi saturi, ma che consumiamo in quantità maggiore come il burro, gli insaccati, ma anche l’olio di cocco, che contiene più grassi saturi di quello di palma ma non è oggetto di crociate. Perché in un'alimentazione variegata e sana nulla fa male. Certo, consumare biscotti preparati con meno grassi saturi rimane una buona idea, ma l’allarmismo oggi si potrebbe considerare esagerato se la polemica non avesse portato alla luce l’unico vero problema legato all’olio di palma: la sua insostenibilità ambientale. Che alla luce del ritrovato entusiasmo innescato dalla piccola attivista Greta Thumberg, sta richiedendo un aggiornamento 2.1.

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Fatto innegabile: ogni produzione intensiva, che sia coltivazione o allevamento, ma anche di fast fashion, finisce per scontrarsi con l’ecosistema, e l’olio di palma è uno di questi prodotti. Da anni se ne produce tantissimo perché è stato aggiunto a tutto, persino ai cosmetici e ad alcuni yogurt perché li rende vellutati. Alta resa e costo basso sono sempre stati i suoi vantaggi maggiori rispetto alle alternative possibili. Cosa abbia spinto la società a dichiarare guerra all’olio di palma tutto d’un colpo non è stato subito chiaro, fino a quando gli esperti di società e costume hanno spiegato che il marketing è sempre più a corto di idee, per cui non punta più all’ingrediente speciale aggiunto in un prodotto, ma a quello in meno. Qualcuno ha avuto la trovata per primo, gli altri si sono dovuti adeguare. Nell’immaginario del consumatore, anche se non detto apertamente, questo tipo di messaggio viene percepito come la soluzione al perché finora non sia stato abbastanza felice, bello, immune dalle malattie e soprattutto immortale. Colpa di quella cosa lì, messa nell’impasto a tradimento. La cosa è stata presa molto sul serio in Italia perché siamo uno dei paesi più schizzinosi e attenti in assoluto a cosa mangiamo. Basti pensare a come gli americani immettono sul mercato alimenti dai colori e i sapori alieni, approvati dalla Food & Drug Administration, che da noi non avrebbero futuro. E dal report del Ministero della Salute 2018 sul rispetto delle norme della produzione alimentare in Italia è risultato che quello del cibo è un settore su cui non scherziamo mai, con lo 0,8% di violazioni della correttezza contro la media europea dell’1,6%.

Ma la questione oggi è rivoltata come un guanto. Grazie anche a un’intensa campagna di Greenpeace è venuto fuori che il vero danno sulla nostra salute, l’olio di palma lo scatena a lungo termine, per colpa delle deforestazioni selvagge che servono a ricavare nuovi territori coltivabili. Le deforestazioni stanno riducendo i polmoni del mondo, le grandi macchie verdi che ci danno ossigeno. Tutti hanno visto e forse condiviso foto di oranghi tratti in salvo dai volontari ambientalisti durante gli incendi dolosi. In alcuni paesi, infatti, la legge consente di trasformare in terreno agricolo pezzi di foresta protetta (come la foresta Amazonica, anche se la maggior parte delle piantagioni di palme sono in Indonesia e Malesia) in modo che il governo li venda poi al migliore offerente. Per cui a volte i fuochi vengono accesi proprio per innescare la compravendita. Il disboscamento è un disastro per l’ecosistema, anche solo per la combustione che genera inquinamento atmosferico difficile da metabolizzare rapidamente per l'aria, e qui ci arrivano tutti. Secondo The Economist, quando la foresta viene sostituita dalle palme l’area si ripopola immediatamente di nuova fauna, in particolare di roditori e serpenti, ma diventa invivibile per le scimmie, che non hanno più rami su cui spostarsi, uccelli che non trovano più appoggio per costruire nidi e riprodursi, e le tigri, che non trovano più grandi prede come le scimmie.

L’olio di palma viene prodotto anche in Cina, India e Pakistan, ma le porzioni di foresta tropicale che Indonesia e Malesia stanno sacrificando alla palma sono diventate un problema. Nonostante le campagne di sensibilizzazione planetaria siano state abbastanza efficaci (ignorate in Cina e India), nei prossimi anni si prevede una maggiore necessità di produrre olio anche solo perché la popolazione mondiale sta aumentando vertiginosamente. Il pianeta, a difendersi ci prova anche da solo: la deforestazione sta subendo una battuta d’arresto perché vittima dei suoi stessi danni. Con l’aumento dell’inquinamento atmosferico, e quindi del riscaldamento globale, sono infatti aumentate le precipitazioni. E con un tasso di umidità più alto nei paesi tropicali è più difficile che un incendio si propaghi. Ma non basta. Dal 2004 è nata la Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile, nota con la sigla RSPO, un’organizzazione non governativa e non a scopo di lucro che rilascia una certificazione alle aziende che utilizzano olio di palma sostenibile. In Italia, ad esempio, Ferrero, che usa l’olio di palma per la Nutella, ha passato a pieni voti l’esame ottenendo la certificazione. Per cui il passaparola condiviso in rete che invita a boicottare la Nutella è una fake news ingiusta.

Purtroppo, solo un quinto delle aziende mondiali che utilizzano questo ingrediente hanno ottenuto la certificazione RSPO. E alle altre nessuno può impedire di continuare a produrre. Perché non sono i governi a imporsi? Risposta complessa. Perché sull’altro versante del problema ci sono le istanze di chi, grazie alla coltivazione di palme da olio, ha sconfitto la povertà. l’Economist ha pubblicato testimonianze di contadini sull’isola indonesiana di Sumatra che dopo aver avviato la coltivazione delle palme hanno visto migliorare la loro condizione tanto da poter mandare i figli all’università. Difficile che un governo faccia qualcosa contro i propri elettori senza pensarci due volte, e cercando la soluzione migliore che spesso non è a portata di mano, mentre il tempo passa. Forse potrebbero trovarla proprio i figli di quei coltivatori, che una volta saliti sull’ascensore sociale e sensibilizzati da una maggiore istruzione, non seguiranno le orme dei genitori e cercheranno di rimediare ai danni fatti da loro. Ma ci possiamo permettere il lusso di aspettare così a lungo? Difficile calcolarlo.