Il mare è pieno di pesci. E cefalopodi, mammiferi, crostacei. In fondo al mar la biodiversità meravigliosa brilla nel blu danzando al ritmo delle maree e continua con i suoi ritmi evolutivi, ma in superficie la realtà è un’onda anomala in faccia: sarà anche pieno, ma sempre meno. Le acque si impoveriscono e c’è sempre meno pesce nel mare. Segniamo in agenda un ricordo più preciso: "l'ultima volta che ho mangiato un polpo". Un solo indiziato: il genere umano. La pesca esagerata che non rispetta le necessità biologiche degli animali marini sta svuotando le risorse ittiche. La sirena di allarme per gli oceani progressivamente impoveriti dei loro abitanti sta suonando da anni: già nel 2006 il biologo Boris Worm prefigurava sul National Geographic uno scenario nerissimo dati i ritmi attuali di pesca. Data tombale per il pesce pescato: il 2048. Non ce ne sarà più, non potremo mangiarlo. Per sopravvivere dovremo affidarci agli allevamenti di pesce, sempre più intensivi perché saremo 9 miliardi di bocche da sfamare.

Ma in questo modo la biodiversità, già irrimediabilmente in calo, andrà totalmente perduta. La qualità delle acque, che già non stanno proprio benissimo come ha raccontato Il Manifesto in un'inchiesta sugli effetti del cambiamento climatico sul Mar Mediterraneo, diventerà pessima per la vita sottomarina, causando terremoti nella catena alimentare e migrazioni alla ricerca di mari migliori, ma anche gli oceani sono minacciati. La fish apocalypse è stata annunciata ma continuiamo consapevolmente ad ignorarla, in una sabbiatura completa da manuale. Pesci come il tonno, il salmone selvaggio, lo spada, i merluzzi sono pericolosamente a rischio, e le ittiocolture possono solo tentare di tamponare il fallout continuo. Ma ci sono animali marini ribelli che alle regole dell’allevamento non vogliono sottostare e di questo passo rischiano seriamente di sparire. Dal mare e dalle nostre cucine.

I polpi, ad esempio. Sono divinità ctonie di intelligenza superiore alla media, splendori anarchici e inquietanti con i loro otto tentacoli provocatori, meraviglie marine che fanno esclamare di stupore ogni volta che sono in movimento. Il polpo o polipo in cucina è il protagonista sublime come polpo e patate, aka la ricetta che farebbe innamorare anche il più restio al sapore di sale. Ma è pericolosamente a rischio, perché ne peschiamo troppo. L’overfishing dei polpi è una parte della percentuale di gravità che Greenpeace ha evidenziato in un report: il 63% dei pesci con cui ci nutriamo supera la quantità sostenibile per l’ecosistema. Peschiamo polpi con troppo anticipo, senza dare loro il tempo sufficiente per accoppiarsi e riprodursi. Il capitalismo predatorio del mercato del pesce non ha tempo di aspettare la crescita e la riproduzione dei polpi in mare: li pesca, punto. Però sono sempre meno: il Marocco, tra i principali paesi con mari ricchi di varie specie di polpo, ha visto progressivamente e inesorabilmente calare le tonnellate di polpi pescati in poco meno di quattro anni, complice la predazione continua e sregolata, mentre si affermavano Cina, Giappone e Messico che comunque, nonostante i dati assoluti, non se la passano benissimo con la sostenibilità, riporta il Time.

Il consumo globale di polpo è raddoppiato da 180mila tonnellate a 370mila in poco più di quarant’anni: la domanda è tanta, ma l’offerta scarsa e la pesca difficoltosa. Sui banchi vediamo polpi sempre più piccoli, ma non ci chiediamo quasi mai perché. Per fortuna qualcuno della filiera ha iniziato a ragionarci su, come lo chef stellato di Fiumicino Lele Usai, che si è schierato con i fatti a favore della pesca sostenibile di polpi e pesci nel mar Tirreno: “Bisogna sensibilizzare le persone, far capire che è la domanda che fa l’offerta” aveva spiegato a noi di Marieclaire. “Di polpo verace ce n’è poco, è super consumato, sul banco a Roma lo trovi a 18 euro al chilo. Ci sono delle sottospecie di polpo, come moscardini e polpesse, che all’asta vengono battuti a 3/4 euro al chilo, e ce ne sono in abbondanza. Sono più complessi da cucinare ma la pesca in questo modo diventa ecosostenibile e il polpo, così, ha il tempo di riprodursi”. Un piccolo esempio che su scala globale coinvolge anche altri chef e ristoranti di livello, con il sostegno di ONG apposite per la salvaguardia dei mari come Friends Of The Sea. Ma il problema cruciale si articola in tentacoli numerosi: la scarsa conoscenza dell’offerta naturale, la domanda di massa di pesce facile da mettere a tavola, le mode alimentari come sushi e affini.

C’è chi, però, ha pensato di applicare al polpo lo stesso principio di “salvaguardia” e tamponamento dell’emergenza ambientale: gli allevamenti di polpi. I primi esperimenti vennero fatti in Giappone nel 1962, ma la peculiarità dei cefalopodi fece crollare le speranze commerciali. I polpi tendono al cannibalismo dei capi più piccoli e fragili, il che significa distruggere potenzialmente un allevamento anche molto abbondante. Oggi un nuovo tentativo lo fa Carlos Rosas, biologo messicano che a Sisal, in Yucatan, sta sperimentando da qualche tempo un personale approccio all'allevamento ittico di polpi, come ha raccontato al Time. Ma le difficoltà sono tantissime: il polpo è un animale profondamente intelligente, allergico alle gabbie e alle imposizioni da laboratorio, sensibilissimo alla benché minima variazione di temperatura, di ossigeno disciolto e di salinità dell’acqua. Golosissimo, viene alimentato con conchiglie riempite di un mix di polpa di granchio e calamaro (uh, un parente) che i colleghi di laboratorio di Rosas preparano personalmente. Tre conchiglie al mattino, tre al pomeriggio, e uno snack extra nel mezzo per soddisfare lo spuntino. Il capriccioso e potentissimo re dei mari mal sopporta la riduzione in cattività e, raccontano i collaboratori di Rosas, si ribella schizzando inchiostro a ogni esame cui venga sottoposto per verificarne la crescita. Il risvolto etico dell’allevamento dei polpi è stato espresso in una lettera aperta da parte di alcuni studiosi della New York University, che criticano moralmente la costrizione e l’isolamento di un animale tanto curioso e affamato di novità. E non solo di quelle, data la sua golosità.

Questo, in effetti, è il problema principale per l’allevamento dei polpi. Sono carnivori, sono predatori aggressivi e particolarmente inclini a divorare ogni collega del mare che incontrino. Diverso il discorso degli allevamenti di bivalve come cozze, vongole e ostriche, che invece si nutrono di plancton (semplificando molto, potrebbero essere definiti erbivori del mare), speciali aspirapolveri che garantiscono la pulizia delle acque. La questione dell'allevamento marino e dell'ittiocoltura è in linea genera molto discussione, perché profondamente diversa, anche nelle intenzioni, da quella degli animali da terra. Rewind doveroso. Quando l'uomo si accorse che l’addomesticamento di certe bestie era garanzia di carne sicura ed eliminava l’incombenza della caccia, selezionò per gli allevamenti una quindicina di specie accomunate da una caratteristica precisa: erano erbivori. Con il pesce non c’è stata la stessa fortuna, o forse la stessa lungimiranza: i principali pesci di allevamento (spigole, orate, salmoni e tonni) sono comunque carnivori, per svilupparsi hanno bisogno di mangime a base di farina di pesce, e di questa ce n’è sempre meno. Questo circolo vizioso di animali marini “carnivori”, che comprende anche i cefalopodi come seppie e polpi, cortocircuita la sostenibilità ecologica di un allevamento sul lungo termine, che richiederebbe comunque l’impiego di altri pesci. Gli studi proseguono cercando di scavallare le difficoltà. E il polpo verace, nella profondità delle sue grotte sottomarine, per ora resta a guardare.