Cibo e corpo, anno domini 2020. Sociologia, attivismo, fat-acceptance e body positivity sono temi molto attuali. Manca(va) un’indagine sul rapporto sottile che unisce la libertà, la convivialità e il gusto in un ambito poco esplorato, e per molti ancora tabù: cibo e naturismo. Senza fronzoli ed eccessi narrativi, cucinare nudi potrebbe essere il modo più sincero di rapportarsi con il cibo e non fare mistero magico di come questo si trasformi in corpo. Che il naturismo o nudismo liberi il corpo umano dall'ottica della malizia (e del suo contrario, il pudore) per restituirlo in una dimensione quasi asessuata, è un discorso che alimenta parecchi punti di vista, cristallini nella loro semplicità. Prendere il sole nudi non ha nulla di erotico, di ambiguo, di provocatorio. Niente a che vedere con i naked chef o con le allusioni facilone di cuochi che spadellano vestiti di soli grembiuli nel tentativo di scatenare bassi istinti lombari, men che meno con i risolini imbarazzati di chi immagina il nudismo come un baccanale costante di gente che si accoppia senza freni. Essere naturisti è una filosofia di vita quasi francescana ma senza dogmi religiosi, puntellata da ragionamenti, sfumature, domande irrisolte come in ogni scuola di pensiero. E cucinare nudi può essere un passaggio ulteriore di consapevolezza, ma non viene imposto a nessuno: l’ampio raggio del ragionamento sul corpo e sulla conoscenza di esso, secondo una ricerca del New York Times svolta in una comunità di nudisti, è talmente vasto da annullare ogni limite.

Alcuni storici piazzano l'inizio e sviluppo della storia del movimento naturista intorno al 18esimo secolo, quale derivazione della sempre maggiore attenzione alla salute (esporsi al sole e all’aria aperta faceva stare meglio in caso di determinate malattie), altri nel 19esimo in Germania come reazione di forte protesta al processo di industrializzazione, premendo di più sulla semplicità della vita a contatto con la natura, da cui il nome. Tracciare la linea che dai primi nudisti arriva al concetto di naturismo contemporaneo non è di certo facile, ma c’è proprio un tema centrale che aiuta a stabilirne e puntellarne la storia: corpo/cibo/etica. Nutrimento fisico e mentale che rende l'Uomo (inteso genderless e collettivo) ciò che è. Un legame profondo tra il consumo alimentare, il rapporto con l’ambiente circostante e la concezione di rispetto della natura nel suo insieme complesso. Ben prima di molte moderne tendenze, pruderie da censura social e dibattiti (facilmente) equivocabili sull’alimentazione, molti nudisti hanno ragionato spesso sulla scelta del consumare carne e pesce e soprattutto -pure se sembra paradossale - come vestirsi quando serve. Sì, perché i nudisti posseggono abiti, checché si pensi: “La filosofia è: nudi quando possibile, vestiti quando è pratico” racconta al NYT una signora della community di Lake Como Resort, un buen retiro nudist-oriented che accoglie anche chi non si sente ancora a suo agio a vivere senza vestiti. E se il rapporto con il cibo può essere il più aperto e sincero possibile, spogliarsi di ogni orpello nella preparazione di un pasto sontuoso lo fa diventare ancora più autentico?

Per alcuni nudisti, sì. È una sensazione che non ha prove scientifiche, si basa solo sull’empirismo personale. A detta di molti, cucinare nudi elimina ogni inibizione e stimola la creatività: non si tratta solo di toccare i cibi o tenere alta la soglia dell’attenzione (per non bruciarsi o tagliarsi, che non è prerogativa dei naturisti ma riguarda tutti), ma va a toccare lo stato mentale in cui si ci immerge in una preparazione. A chi punta il dito sostenendo che sia impossibile friggere una fetta di bacon o una padella di patatine senza rischiare di schizzarsi addosso (e, in certi casi, farsi anche parecchio male), non si può che rispondere con un’alzata di spalle: basta semplicemente stare attenti, poi non è che sia vietato usare eventualmente un grembiule o i guanti da forno. Non è che essere nudisti significhi essere incoscienti, anzi.

Sovrintendere la cucina senza vestiti si può. Nell’intimità della propria casa (e della propria curiosità) tutti possono provare a capire cosa significhi cucinare nudi e successivamente mangiare senza vestiti addosso. Condividere un pasto senza indossare nulla permette di rilassarsi molto di più e concentrarsi principalmente su cosa si sta mangiando e in compagnia di chi: organizzare cene nudiste potrebbe migliorare la vita sociale? Pensateci bene: niente conversazioni futili con persone con cui non si vuole parlare. Cenare nudi si traduce in libertà di condivisione e partecipazione di chi veramente vuole essere lì, e non per secondi fini. È lo stesso rapporto cibo/corpo, o meglio corpi, a trasformarsi in qualcosa di più diretto, sharp direbbero gli inglesi: acuto, definito, privato di molti costrutti sociali. Si sta in compagnia di persone che sposano un’etica e uno stile di vita uguale al nostro, in pratica la base di ogni amicizia sana. Via i vestiti, nessun giudizio collaterale: superati i primi 10 minuti di imbarazzo si annullano i pudori e si diventa più diretti. E in caso non ci si senta a proprio agio, non c'è alcun obbligo nel restare nudi: ci si può rivestire serenamente. La curiosità si condensa in una domanda: il nudismo del futuro ci aiuterà ad essere più limpidi anche nelle nostre relazioni umane?