Impercettibile, se non si sa osservare. Ma il guizzo rapido certifica il crollo della diffidenza a favore di un sorriso onestamente rilassato, e modifica i tratti del volto di Martina Caruso chef del Signum, il ristorante stellato dell'isola più verde delle Eolie, Salina. Una piccola conquista che cancella l'iniziale sguardo laterale per lasciare spazio a una lenta, ritmata prospettiva sulla sua idea, filosofia, stile in cucina. Che segue da anni la linea dritta dell'orizzonte di fronte ai tavoli sulla terrazza del Signum con creazioni nette, riconoscibili, solo apparentemente semplici, di profonda valorizzazione di un'isola che ha moltissimo da offrire e da (auto)tutelare. Nei contrasti di sapore, puliti nella murena al vapore, confortanti nel brodo di pesce tiepido che sa di silenzio del mare, o decisi come la bagna cauda con i ricci, dalle profondità degustative che vogliono solo essere esplorate, si disvela il viaggio statico di Martina Caruso via piatto. Ma nella mattina dolce di burro e zest di arancio delle brioscie della colazione, tra una granita al caffè e montate di panna autentica, arrivano anche le parole della 32enne chef donna dell'anno 2019 per la Michelin, sorvegliata a vista dal suo amatissimo cane, il rullare lieve del chiama angeli sulla pancia.

Come hai lavorato alla costruzione del nuovo menu, e in generale come decidi i tuoi piatti?
L'anno scorso non sono stati fatti piatti nuovi: era tutto un punto interrogativo per la stagione, usciti dal lockdown. Abbiamo aperto a fine giugno ed è stata una stagione bellissima, ma era tutto un punto interrogativo. Non c'era l'obiettivo di piatti nuovi, alla fine avevamo materiale per le persone nuove: l'80-90% per noi è clientela straniera, ma sapendo che lavoravamo con una clientela del territorio italiano, che non è mai venuta da noi, potevamo fargli assaggiare dei classici. Quest'anno invece abbiamo voluto fortemente dei piatti nuovi ed è nato Un altro viaggio, un menu degustazione in sette portate. Non è nato da un viaggio vero e proprio, in Francia o in Spagna o in Italia, non ho avuto la possibilità per fare nuove esperienze gastronomiche. È stato un viaggio di lettura di libri di cucina e della tradizione, ho presto spunti e ispirazione. Poi la sostenibilità, che noi abbiamo sempre, stagione e territorio che sono la base. Ci sono tanti problemi sulla reperibilità del prodotto del pesce locale, allora ho fatto un ragionamento su cosa non mi avrebbe dato problemi: in base al pesce, intorno ho costruito il piatto. Triglie, alici, ricciola che è Mediterraneo...

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La pasta con brodo di pesce, mandorle e peperoncino 
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La bagna cauda con i ricci di mare crudi, uno dei piatti più famosi del Signum

Non cerchi pescati che vengono usati molto per fare colpo, tipo il polpo.
Esatto. Vedevo che non si riusciva ad avere, specialmente nei mesi più caldi di luglio e agosto che c'è più gente sull'isola. Mio marito mi ha trasmesso la passione per la pesca, andiamo a pescare con la canna al porto e passiamo un po' di ore. Siamo amanti dei brodi e il brodo di pesce è proprio della tradizione, in ogni famiglia di pescatori c'è. Quindi perché non fare proprio un piatto pasta&brodo di pesce, con il territorio di erbe e mandorle? La murena invece è un piatto voluto due anni fa, è entrato in carta perché si mangia fritta solo nelle famiglie dei pescatori: di solito viene buttato, non è considerato pesce pregiato. Se vuoi proporlo, pure che è un pesce sostenibile, è pieno di spine e il cliente non se la sente: invece con tanta pazienza i ragazzi in cucina si mettono a pulirlo da cotto, e la parte della pelle e della carcassa viene ridotta in salsa con le erbe spontanee di qui, come la limbarda che fa parte della famiglia del finocchietto di mare. Lo spaghetto (con tartare di alici e finocchietto, ndr), invece, è stata un'idea del mio sous chef Mattia che abbiamo aggiustato. La triglia 3.0 è locale, da ricordo d'infanzia: la voglio fortemente, ma realizzata con zucchina dell'orto, riduzione di triglia e more di Vulcano.

Ieri con tuo fratello Luca, uomo di accoglienza del Signum, parlavamo proprio del rischio di mettere sempre fuori dei piatti nuovi, e di perdere quel momento in cui un piatto potrebbe diventare un simbolo del ristorante.
Infatti è stato difficile quest'anno. Con il fatto del bistrot alcuni piatti sono passati lì, era un peccato staccare d'impatto (sorride), invece abbiamo dato una continuità. Altri sono saltati e basta per dare più spazio.

Qual è uno dei più rappresentativi, quel piatto che ti fa dire "questa sono veramente io tradotta in un piatto"?
Penso il gelato al cappero. Ma anche la linguina latte di mandorla e vongole.

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Le linguine con latte di mandorla e vongole di Martina Caruso
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La terrazza del ristorante Signum con vista su Stromboli e Panarea

Usciamo dalla cucina e andiamo intorno all'isola. Cos'è Salina per te?
Salina è casa, ovviamente. È un'isola di benessere quotidiano che non si trova dovunque, in altre dimensioni o parti. È ispirazione per i piatti, per il ristorante. C'è una base forte del territorio che vogliamo raccontare a chi viene a trovarci qui a Salina. Quando ero ragazzina, nei mesi invernali mi stava stretta; poi uscivo, andavo a fare stage e scuola, ma poi quando ero fuori avevo la mancanza dell'isola e sentivo di voler ritornare. E poi di nuovo partire, tornare: un classico. Adesso ho trovato la mia giusta dimensione ed equilibrio, nei mesi invernali qui siamo chiusi. Con mio marito Simone, che è di Catania ed è veterinario, abbiamo comunque la passione della cucina, della pesca, degli animali. A novembre nascerà nostro figlio, il primo, e ci vogliamo stabilire qui per andare a creare un ramo che torna al Signum: un'azienda di conserve e marmellate da riproporre qui al ristorante. Poi Salina, beh, ci sono nata e cresciuta: non mi vedo altrove. Ok, nata si fa per dire, per motivi di ospedale si va a Milazzo. Ma quando i miei hanno pensato al Signum, mio fratello aveva 10 anni ma io ero nella pancia di mia mamma. Sono effettivamente nata qui.

Da qui a cinque anni dove ti vedi, cosa vedi, cosa speri?
(Ride) Beh, vedo una crescita su Salina, con questo progetto invernale. E vedo un ampliamento, anche del Signum, con migliorie che non mancano mai. E fare un protocollo fisso, firmato, dell'esclusività del Signum, per standardizzare quello che abbiamo.

Si parla molto della crescita dei figli da parte di donne chef, come se gli chef uomini non fossero padri appassionati. In ogni caso, come pensi possa essere adattato, a livello macro, e come hai pensato di adattare i ritmi della cucina a quelli di tuo figlio?
Penso che con una parte di organizzazione, nella vita si riesce a fare tutto. Sia un padre, sia una madre, se uno ha la base organizzativa, riesce. Per me è tutto nuovo, ma alla fine sarà divertente. Vedo mio figlio come me, che crescevo qui dentro, ero a contatto con gli ospiti, giocavo... Non vogliamo trasmettere il classico hotel cinque stelle: qua è casa. Vogliamo dare l'ospitalità a chi fa un viaggio per venirci a trovare. E poi dividere la vita privata con la vita del lavoro: ho imparato e sto sempre imparando. Simone non è del settore, ha altri orari e ritmi. Il lavoro ok, ma è importante avere un attimo di tempo per la famiglia. Viviamo a 360 gradi, non dobbiamo focalizzarci solo su una cosa: è sostenibilità umana. Anche adesso che sono in attesa, i ragazzi sono formidabili: sono tranquilla, hanno tante attenzioni verso di me.

Quando ci si circonda delle persone giuste e buone, se c'è la squadra e l'organizzazione, il più è fatto.
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