È capitato a tutte. In modo più o meno sottile. Siamo state delegittimate in una discussione. Non perché non conosciamo un argomento, ma soltanto perché siamo donne. E non è una questione di competenze: a parità o maggiore conoscenza di un tema, salterà spesso fuori un uomo che con arroganza e presunzione vorrà soverchiarci e spiegarci come fare qualcosa che sappiamo già da sole. Ma a lui non importa, lo ignora, convinto di essere superiore per natura (di genere). Lui straparla, noi restiamo immobili dalla rabbia. Benvenute (si fa per dire) nella mascolinità tossica e nella sua espressione migliore (?), il mansplaining, una crasi tra man + explaining creata dalla scrittrice Rebecca Solnit in un suo articolo del 2008 pubblicato sul Los Angeles Times e poi espansa nel saggio Gli uomini mi spiegano le cose (8,99 euro su Amazon.it).

Cosa significa mansplaining? La traduzione di mansplaining in chiave nostrana può essere maschiarimento o minchiarimento, neologismi che non cambiano affatto la sostanza del termine. Una definizione chirurgica la riporta Giulia Blasi in Manuale per ragazze rivoluzionarie (9,99 euro su Amazon.it): “La peculiare mescolanza di paternalismo, accondiscendenza, sottovalutazione e arroganza con cui i maschi, di quando in quando, fanno valere la loro supposta maggiore conoscenza di un argomento sulla tua, mettono in dubbio la tua parola o la tua opinione su un argomento o semplicemente ignorano la tua competenza, solo perché sei una donna”. Rewind. Ci sembra di rivedere e rivivere alcune scene in ufficio, persino in casa, nei luoghi pubblici, con i colleghi o con gli amici durante una serata. Ovunque sia successo, riusciamo a codificare quella sensazione frustrante di essere delegittimate, pure da esperte (sopratutto quando esperte di qualcosa), soltanto perché donne. Il mansplaining è un tema molto discusso e delicato, le sfumature del termine sono numerose. Non è che ogni discussione in cui ci ritroviamo debba essere catalogata sotto il termine mansplaining, sarebbe una generalizzazione sbagliata. Un confronto, un dialogo, un dibattito anche acceso non sono sempre un minchiarimento gratuito sulla base del sesso cui si appartiene (o ci si riconosce).

Come riconoscere il mansplaining? Solitamente viene introdotto da forme tipo "Lascia che ti spieghi", "Forse non sai che", "Voi donne dovreste capire che...", ma il massimo si raggiunge con lo spiegone gratuito. Di esempi di mansplaining ce ne sono moltissimi: qualche tempo fa fece scalpore su Twitter la risposta da sapientone di un uomo non meglio qualificato che cercò di spiegare all'astronauta americana Jessica Meir il principio fisico della bollitura dell'acqua in determinate condizioni della sua missione. Ma anche il blogger che ha invitato l'astrofisica Katherine J. Mack a studiare meglio gli argomenti scientifici sul cambiamento climatico di cui lei si occupa attivamente nei suoi studi (accadde nel 2016 e la risposta della Mack fu da manuale: "Guarda, ho preso un dottorato in astrofisica, mi sa che più di così è un po' troppo"). Il minchiarimento è sempre così: non richiesto, inutile ai fini del discorso, profondamente soddisfacente (sul momento) per il minchiaritore di turno. Succede spesso, e succede perché viviamo in una società fortemente patriarcale dove i principali ruoli di potere sono posseduti/rappresentati in maggioranza da maschi bianchi etero adulti sopra i 45 anni. Quando una donna si occupa della gestione del potere, capiterà di frequente che un uomo vorrà spiegarle come fare il suo lavoro. Anche se di quell’argomento, badate bene, non ne ha contezza alcuna; o, se ne ha, è comunque parziale e minore di quella della donna che viene pagata per conoscerlo al meglio. È la vittoria dell’opinione sulla conoscenza del fatto: bisogna esprimerla comunque. Per tradizione quel che dico conta, e devo farlo sapere sempre.

Come si affronta il mansplaining in quei luoghi dove è più facile incontrarlo, vale a dire gli uffici dove i rapporti di potere sono particolarmente impegnativi? Tre donne che lavorano come executive manager in tre diversi campi hanno spiegato a FastCompany come cercano e riescono ad evitare, o quantomeno ad arginare, le varie forme di mansplaining sul luogo di lavoro. Per la fondatrice di LXMI e Samasource Leila Janah, il minchiarimento si è presentato nel modo più classico: gli uomini del suo board che si fregiano di una (presunta) esperienza maggiore (mai comprovata) e cercano di far passare le proprie idee al posto delle sue. Il suo trucco è mantenere la calma, per quanto difficile, perché questi stereotipi di tradizione patriarcale sono duri da estirpare. “Gli uomini giovani con idee audaci vengono definiti visionari, le donne invece vengono chiamate isteriche o passionali” spiega la Janah. Lei preferisce replicare al mansplainer di turno con domande asciutte e dirette, che tendono a spiazzare ogni costruzione patriarcale: “Trattereste un uomo nella mia posizione allo stesso modo?”. Nella maggior parte dei casi, l’uditorio col cromosoma Y tende a ragionare e silenziarsi. Un’altra frase suggerita da Leila Janah è “Mi sembra che non stiate prendendo seriamente quello che dico, che non mi trattiate alla pari di un socio o di un capo. È vero quello che dico?”. La sicurezza del suo approccio è confutabile solo con la conferma della delegittimazione, che significherebbe ammettere di essere sessisti. Così tende a spegnere ogni sussulto di mansplaining in atto.

Il mansplainer parla per l'innata convinzione di avere ragione su tutto

Quando si parla di professioni tradizionalmente dominate dai maschi, come nel campo della tecnologia o dell’informatica, il mansplaining raggiunge livelli altissimi. Che il sessismo in Silicon Valley (e il sessimo nel cinema) sia un dato di fatto è ampiamente dibattuto, i frat-pack coprono posizioni di potere praticamente da sempre. Falon Fatemi, fondatrice e CEO dell'azienda Node che si occupa di intelligenza artificiale, ha raccontato che le è capitato moltissime volte che colleghi uomini le spiegassero come funzionava il suo stesso software, convinti che non ne sapesse nulla. Le capita che persino mentre parla sin nei minimi particolari di un argomento specifico gli uomini la interrompano per dare ulteriori dettagli, ma in realtà si limitano a ripetere quello che lei, la donna capo, ha appena detto. “È una mancanza di rispetto pensare che le persone non conoscano le basi dell’azienda in cui lavorano, e che addirittura mostrino volontariamente di non saperlo” fa notare amaramente la Fatemi. Ennesimo paradosso di una delegittimazione che distingue solo per genere sessuale e non pensa al valore e alle qualità delle persone. Sei femmina, quindi non sai di cosa stai parlando. Nemmeno quando l’azienda è la tua. Falon Fatemi replica incoraggiando un tipo di conversazione improntata sul far domande invece di lanciare dichiarazioni. “Cerco di scherzarci su con un sorriso larghissimo, dico cose tipo “Beh, non è che aiuti molto, abbiamo altre prospettive per discutere su questo problema?”. Aiuta a tenere sotto controllo la situazione e ti mette in una posizione di forza” chiarisce la Fatemi. “Altrimenti fai finta di niente e vai avanti. Ma ricordati che se non lo fai notare, potrebbe capitare di nuovo”. Ignorare il mansplaining è una strategia ricorrente e facile da attuare. D’altronde non sempre si ha voglia di polverizzare l’uomo che ci spiega le cose facendogli notare l’inadeguatezza del suo comportamento. Anche perché, molto spesso, è altrettanto immediato che parta un'ulteriore spiegazione. Perché in quanto donna sei incline alla mistificazione e “hai capito male”. Il mansplaining si nutre del mansplaining.

Il mansplaining si nutre del mansplaining

A Adiya Dixon Wiggins, presidente e fondatrice di Yubi Beauty, è capitato il caso forse più divertente e paradossale: un maschio in perfetta buona fede che pretendeva di spiegarle come organizzare la user experience per le donne che arrivavano sul suo sito di prodotti di bellezza. Perché lui conosceva benissimo le esigenze e i click che dettano le ricerche delle donne nel mondo beauty. Plausibile, certo, ma c'è un piccolo particolare: “Lavora in un’azienda che non c’entra nulla con la bellezza, non ha nessuna esperienza nel mondo beauty, in più sua moglie non si trucca e non le importa della cura della pelle” ha raccontato la Wiggins. Cosa fare in questi casi estremi e surreali? Non bisogna prenderla sul personale: il mansplainer parla per l'innata convinzione di avere ragione su tutto e è convinto di poterti aiutare anche quando non ha dimestichezza. Non ce l'ha mai direttamente con te. Oltre a guardarlo in modo che capisca che sta parlando di qualcosa fuori dalla sua giurisdizione di maschio alfa, rispondere in modo è la migliore occasione per farlo riflettere sul suo comportamento. “Di solito vedo che succede quando gli uomini sono carichissimi per il lavoro che stanno facendo su qualcosa. Non riescono a controllarsi. Vale la pena fare leva su questo entusiasmo, specialmente quando si sta lavorando su un’idea o un prodotto”. Con fermezza e pazienza, si può incanalare il minchiarimento verso una produttività feconda per la propria impresa. Ma in linea generale va sempre sottolineato che il mansplaining va estirpato convinzione dopo convinzione, con alleate e alleati che riconoscano come neutralizzare e diminuire a portata di certi comportamenti tossici. Sfondare il tetto di vetro del potere protetto/alimentato dal mansplaining è una questione di qualità, di competenze, di capacità.