«Il semplice desiderio di possederlo corrompe la loro anima» (Elrond, signore di Gran Burrone, da Il Signore degli anelli)

I maschi stentano a crederlo, a volte anche per colpa (spiace dirlo) delle loro compagne, restie a fare coming out e a riconoscere che, anche in tempi di Dico, resiste il fascino del solitario (come pure della veretta, o del trilogy, o della mezzafede). Fortunatamente, vicende non troppo remote hanno riscatenato il dibattito su aspettative, requisiti, modalità dell’oggetto, dimostrando un interesse non sopito.

Si è disquisito sulla sorte dell’anello lanciato da Laure Manaudou a Luca Marin, sull’inelegante scelta di Nicolas Sarkozy (stesso diamante e tourmaline by Dior per la ex Cécilia e per la neoeletta Carla) e ci si è interrogati sul dono che Naomi Campbell potrebbe ricevere da Hugo Chávez (l’unico appropriato dovrebbe essere in oro nero). Ne è emerso che le donne sulla questione anello continuano a esigere un cerimoniale preciso, nonostante una nutrita schiera di uomini si ostini a sostenere che sia un istituto desueto e che, se si decide di convivere senza sposarsi, non è necessario.

A costoro ricordiamo che l’anello di fidanzamento espleta un solo, essenziale ruolo: essere esibito davanti alle amiche o essere paparazzato, se si è una star in qualche campo o una futura regina (Camilla Parker Bowles non si trattenne, raggiante, nel mostrare alla stampa il suo gioiello art déco in platino e brillanti, che era appartenuto alla defunta Regina madre).

E c’è solo una cosa peggiore di un uomo che non regala l’anello: un uomo che sbaglia a sceglierlo, o che non segue i rituali prestabiliti. Per fortuna gli spunti per non incorrere nell’errore sono innumerevoli.

Come

«Ditemi. Cosa devo portarvi dall’Inghilterra. Un anello? Come lo volete?» (...)
«Oh.. un anello di brillanti, Rhett... molto grosso!».
«Così potrete farlo scintillare davanti agli occhi delle vostre amiche povere dicendo “Vedete cosa ho ghermito!”. Benissimo; avrete un grosso anello, tanto grosso che le vostre amiche meno fortunate potranno consolarsi sussurrando che portare gemme così grandi non è da signora» (Rhett Butler e Rossella O’Hara, da Via col Vento)

L’anello di fidanzamento deve essere riconoscibile, anche se sfoggiato insieme ad altri. E quindi deve rispondere ad alcuni criteri che ne fissano i requisiti minimi. Metallo e pietra (o pietre) preziosa: smeraldo, rubino, zaffiro, ma soprattutto diamante, il grande classico. Ecco perché il gioiello etnico, anche se splendido, non è un anello di fidanzamento. Può essere ricevuto come tale (e con gioia) solo entro gli anni del liceo. Poi sentitevi autorizzate a un palese scatto d’ira davanti a un lui che si presenta con un originalissimo manufatto in osso. Sappiate comunque che non si tratta solo di una deriva adolescenziale: il problema è che ci sono uomini che hanno un naturale avversione verso le pietre preziose. Alcuni le considerano roba da vecchi (fate notare che all’alba dei quaranta potrebbe anche prendere in considerazione una svolta adulta, a cominciare da come si veste: jeans, felpe, Clarks). Altri vi fanno sentire in colpa, informandovi che si tratta di pietre insanguinate, visto che alimentano le guerre nei paesi del terzo mondo (controinformatelo sull’esistenza dei diamanti etici: provengono dal Canada e sono dotati di rigorosa certificazione che attesta la loro provenienza da una filiera protetta). Altri ancora puntano sulla bigiotteria, avallando scarse risorse economiche (siate comprensive, ma disseminate casa di depliant sui piani di accumulo di capitale. Li troverete nella vostra filiale). Altri cedono alla richiesta, però tirano fuori l’arma segreta: «Perché non mi accompagni a sceglierlo?». La proposta può sembrare intelligente (eviterete di dover portare per una vita il peso di una scelta sbagliata all’anulare). In realtà è una subdola manovra per contenervi. In quanto donne di tatto e d’impeccabile educazione vi sentirete obbligate a imboccare la strada del basso profilo, rinunciando alla spirale di diamanti clone di quella, celeberrima, donata da Brad Pitt a Jennifer Aniston, per accontentarvi di una smilza veretta. Perdendo, per di più, il piacere della sorpresa.

Quando

Si alzò, corse verso di lei e la baciò sulla bocca. L’astuccio che teneva nella destra solleticava la nuca recline. Poi fece scattare la molla, prese l’anello, lo passò all’anulare di lei; l’astuccio cadde per terra.
«Tieni, bella, è per te, dal tuo Tancredi».
L’ironia si ridestò: «E ringrazia anche zione per esso» (Tancredi di Falconeri, da Il Gattopardo)

Non è regalo di compleanno. Né strenna natalizia. E neppure dono per l’anniversario. Men che meno di San Valentino. L’anello arriva un giorno qualunque e, preferibilmente, viene donato in privato (a meno che non vogliate sembrare Briatore. In tal caso potete organizzare un party con una cinquantina di intimi per chiedere alla vostra bella di sposarvi, ma a questo punto ci vorrebbe anche il diamante sei carati purissimo montato su veretta d’oro bianco e tappeto di duecentonovantasette smeraldi). Alcuni creativi lo infilano nelle pietanze rischiando lo strozzamento della promessa (accadeva a Drew Barrymore in Tutti dicono I love you), altri organizzano cacce al tesoro, disseminando la casa di mappe e indizi. Pochi si inginocchiano, per fortuna. Altri lo lasciano sotto il cuscino, prima di uscire. Preferiscono perdersi la scena madre: rapimento estatico, lacrime etc. In pochi hanno battuto la città per noleggiare un cinema, in modo da imitare le gesta di un romantico lui in un celebre spot pubblicitario che non ha suscitato il dovuto spirito di emulazione (e pochissimi quelli che conoscono l’usanza americana per cui sono le donne che possono fare la proposta, ma solo il 29 febbraio. Il che però non li esime dal donare l’anello, ndr.).