E se i bagni pubblici, sull'esempio di Londra, fossero genderless? Nel dibattito entrano spesa pubblica e buonsenso. L'opinione di Vladimir Luxuria, ex parlamentare e attivista Lgbt, e di Stefano Seletti, patron e direttore creativo dell'azienda ominima che, in collaborazione con gli artisti Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, ha creato la collezione di home design Seletti Wears Toiletpaper.

Vladimir Luxuria:

«Certo, in un mondo ideale alla toilette non ci dovrebbero essere distinzioni di genere, però mi pare che una battaglia in questa direzione non sia tra le priorità del momento. E di certo non chiederei al nuovo governo di occuparsene. A Londra il sindaco Khan insiste per avere più bagni unisex, ma mi sfugge perché ora. Anche se il fenomeno dei trans sta crescendo, ora siamo solo il 2% della popolazione, e finché il wc resta diviso per genere, per regolarsi basta il buonsenso. Una volta, con Le Iene, avevamo nascosto una telecamera nel bagno di un autogrill. Io, occhialoni e parrucca, entravo in quello degli uomini, ed erano i camionisti stessi, gentilissimi, a dirmi “signora, non venga qui, meglio che vada dalla parte delle donne”. L’importante, piuttosto, sarebbe fare una legge - come quella che avevo proposto ai tempi - affinché i trans siano accettati in tutti gli ambiti in base al sesso cui sentono di appartenere. Quando ero in Parlamento la questione wc era stata sollevata dalla deputata di Forza Italia Elisabetta Gardini. La quale sosteneva che sarebbe stato più opportuno che io usassi il bagno dei maschi. Ma era l’unica, e la polemica strumentale, infatti la cosa cadde nel nulla. Di sicuro, sarei contraria all’istituzione di un terzo bagno, come esiste per esempio in Thailandia. Abbiamo le toilette per i diversamente abili e adesso ci tocca pure quella dei diversamente sessuali? No grazie, troppa roba. Del resto, non capisco perché preoccuparsi tanto. Su treni e aerei i bagni unisex di fatto già esistono, e se non sbaglio».

Stefano Seletti:

«Sono favorevole. La proposta di Sadiq Khan è al passo coi tempi. E anche in Italia, se mai si dovessero creare dei bagni genderless, non potrebbe che essere un progresso. Penso alla situazione dei trans, e credo che qualunque iniziativa con lo scopo di aiutare qualcuno a sentirsi più inserito e vivere meglio sia da favorire. In realtà, fino a ora non me ne ero mai preoccupato. Per il mio lavoro sono continuamente in giro per il mondo, e questo fatto delle toilette genderless non l’avevo notato. Mentre, se come imprenditore dovessi introdurre un design intelligente per quelle del futuro, riproporrei il modello della Malesia e del Giappone. Dove i gabinetti prevedono una tazza con tanto di spruzzo d’acqua per potersi lavare e di getto d’aria per asciugarsi. Civilissimi e avanzatissimi. Comunque: sì, anche il bagno unisex mi sembra un segnale di civiltà. A patto però che non porti nuovi costi di adeguamento per quelli già esistenti, perché forse non ce li potremmo permettere. Altri argomenti a sfavore: be’, se posso dire una cosa non molto politically correct, egoisticamente, come uomo, con una toilette unica avrei solo da perderci. Perché per i maschi non farebbe che aumentare i tempi di attesa. Se mi sentirei tranquillo per le mie figlie? Oddio, sì. Però, dipende... Dipende da come si gestiscono questi bagni. Forse prima ci vorrebbe una bella riflessione, per evitare che la promiscuità diventi un problema».