Giacca e camicia ritirate in lavanderia, piega discreta, trucco leggero, curriculum sfoderato come lasciapassare. E la scrivania delle risorse umane che divide tutte le risposte inespresse dalle domande che non hai il coraggio di fare. Perché ad un colloquio di lavoro non chiediamo mai quello che ci interessa sul serio? Deridiamo (e poi mettiamo in pratica) i consigli su come vestirsi al lavoro, come presentarsi ai colloqui, quanto sia giusto farsi pagare (e nelle aziende più serie sono comunque esplicitati nell’annuncio). Ci sono dettagli variegati, piccole sfumature che solo sviscerandole possono emergere. Pensiamoci bene: quello è il posto dove passeremo almeno un terzo della nostra giornata. Siamo davvero disposte ad entrarci così, completamente incoscienti di ciò che ci aspetta o di quello che potremmo incontrare, a rischio burnout precoce? Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Lecito, sottolineatelo. E gli stessi recruiter si aspettano per lo meno un po’ di voglia di approfondire da parte vostra: parola di Alison Green, che gestisce la rubrica Ask A Boss su The Cut dedicata espressamente alle questioni lavorative. Scolpitevelo in testa, non passerete per persone troppo curiose o per esigenti: che cosa c’è di male nel voler sapere? Non state sfidando nessuno, anzi: ci sono domande che vale la pena porre per scoprire qualcosa in più sull’azienda e comprendere realmente se è davvero il posto che fa per voi. E sono queste.

#Come si misura il successo in questo lavoro nei primi sei mesi e nel primo anno?
Dritti al punto in modo elegante: chiedere cosa significa lavorare bene e portare a casa i risultati è quanto di più apertamente interessato (e perfetto) possiate domandare. In caso di colloquio diretto col manager dell’area per cui vi siete candidati è la domanda che vi chiarirà molte specifiche sulle metriche di valutazione sulla produttività. Se i primi mesi sono dedicati interamente alla formazione, se si viene subito inseriti a bomba nel flusso di lavoro… Durante la conversazione potrete anche comprendere meglio se nell’annuncio sono state sottovalutate alcune competenze a favore di altre. E ricalibrare così anche il vostro stesso interesse.

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#Quali sono le sfide di questo lavoro?
Questa domanda è una chiave per aprire numerose strade: intanto servirà a comprendere in che tipo di relazioni professionali vi state infilando (un capo difficile, un ramo d’azienda competitivo, pochi budget per i progetti), poi vi è utile anche per evidenziare come comportereste di fronte a ostacoli molto simili partendo dalla vostra esperienza. Con discrezione, sempre: evitate le sparate iperboliche.

#Mi può descrivere un giorno lavorativo tipico?
Non abbiate paura di chiederlo: serve a comprendere come vorrebbero venissero organizzate le ore di lavoro per quella posizione in azienda, almeno a grandi linee. Tra teoria e pratica, programmazione e azione, suddivisione degli impegni e quanto altro, il daily schedule (e la settimana lavorativa) tipo è una fotografia abbastanza chiara.

#Quante persone hanno lavorato prima in questo ruolo?
La discrezione paga sempre e questa domanda apparentemente neutrale sarà utile a comprendere un dettaglio ulteriore: se c’è stato un turn over esagerato di persone a brevissime distanze temporali, è probabile che il problema sia a monte e sia tristemente irrisolto. Un manager impossibile, richieste esagerate, aspettative fuori scala, mancanza di training interno: non ve lo diranno direttamente, ma la palla della decisione passerà nelle vostre mani. Potete anche aggiungere la domanda jolly “Come mai ci sono state così tante persone?”, per dissipare ogni nube di dubbio.

#Ripensando a chi ha coperto questa posizione, cosa distingueva quelli bravi da quelli eccellenti?
Secondo Alison Green, cui è stata rivolta personalmente la questione, si tratta della migliore domanda che le sia mai capitata durante un colloquio di lavoro. Punta direttamente al cuore dell’annuncio lavorativo senza essere troppo invasiva: un’azienda non cerca chi è semplicemente bravo, ma chi è il più bravo. E aiuta il manager a capire che siete coscienziose, interessate a raccogliere la sfida per ottenere il massimo. Se poi non fa per voi, lo capirete proprio da questa domanda.

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#Cosa le piace del lavorare qui?
Questo genere di domanda serve a comprendere davvero in che tipo di ambiente lavorativo vi state infilando: competitivo, gerarchico, serissimo, amichevole, low-key, sereno… Una risposta come “lo stipendio” o un lunghissimo silenzio potrebbero essere un allarme sonante rispetto a certe dinamiche interne che vi troverete a vivere. Curiosate apertamente sulla cultura lavorativa del posto. Vi servirà quando stilerete i pro e gli eventuali contro.

Quali sono i tempi delle prossime decisioni?
Il modo migliore per un benchmark, vale a dire avere una risposta chiara su quel posto di lavoro, è chiederlo. Banale, vero? Superate lo scoglio del “le faremo sapere” e chiedete espressamente entro quanto arriverà la risposta. Vi eviterà l’agonia dell’attesa: se il capo parte per un mese e prima di tale intervallo non avrete risposte, è vostro diritto saperlo. Vi assicurano che entro due settimane prenderanno una decisione? Passato tale intervallo siete legittimate a prendere contatto ribadendo il vostro interesse. Basta non avere paura.

Extra tip. Prima di tutto, dovete fare a voi stesse una serie di domande: cosa voglio davvero sapere di questa azienda? Come voglio sentirmi ogni giorno quando vado al lavoro? Quanto c'è di vero su quelle voci sulle discriminazioni sul lavoro? Sarà vero che l’azienda è in sofferenza? Ci sono dubbi delicati che non vorremmo mai toglierci, ma un po’ di ricerca pre-colloquio è essenziale per interpretare l’annuncio con le idee più che chiare. Esistono siti appositi (e verificati) per le recensioni sulle aziende, specialmente le grandi companies multinazionali. Ma più di tutto, non sottovalutate il sano networking con colleghi che hanno le vostre stesse mansioni in altre società. Parlate, curiosate, indagate. Solo così capirete se quello è davvero il lavoro per voi.