"Ricorda che il Tempo è un giocatore accanito che vince senza barare, ogni volta! È la legge", Charles Baudelare, L'horloge, Les Fleurs du mal.

Difficile dimenticare quanto il tempo sa essere implacabile e sfuggente! Sublime ricordarlo con il flusso onirico e incantato delle immagini di Sarah Moon, introdotte dai versi di Baudelaire nel video del suo Ou va le blanc (2013). Un regno di meraviglie, spinte oltre il linguaggio della moda, i confini della fotografia e i limiti della visione, protagonista di due mostre a Milano. Sarah Moon. Time at Work, alla Fondazione Sozzani e Sarah Moon. From one season to another, negli spazi di Armani/Silos (entrambe fino al 6 gennaio 2019). Due viaggi, diversi e complementari, anche nell'allestimento curato espressamente dall'artista. Un invito a perdersi nella materia evanescente della bellezza, nei frammenti di storia interiore tessuti dalla moda che non veste ma risveglia, in quelli introspettivi dilatati dell'arte di guardare oltre, vestire abiti di piuma e pois, vivere di pura emozione.

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Photo by MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images
Sarah Moon, Time at Work, Galleria Carla Sozzani Milano, 25-11-2018

«Sin dall’inizio ho sempre voluto sfuggire al linguaggio codificato del glamour. Quello che cercavo era più intimo, erano le quinte ad interessarmi, un diaframma sospeso prima che il gesto si compia, un movimento al rallentatore… come quello delle donne che si allontanano di spalle» - Sarah Moon, Coincidences, Delpire, 2001

Mettendo a punto un linguaggio tutto suo anche per il glamour, la modella, fotografa e filmaker (nata Marielle Warin nella Francia del 1941), strappa al tempo la dimensione più intima di un universo etereo e raffinato, popolato da donne che indossano abiti come emozioni, paesaggi che sposano la fragilità delle illusioni e nature vivissime che spiccano il volo, sulle ali della sua libertà di esprimere passioni, paure e ossessioni.

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© Sarah Moon / Courtesy Fondazione Sozzani
Sarah Moon - Cotinga du Pérou et Trichoglossus du Timor, 2000

Sarah Moon. Time at Work

Continuando a lasciare il tempo 'libero di esprimersi' e le immagini di trasformarsi, Sarah Moon, segna, graffia, vira e manipola anche vecchie polaroid dimenticate, rovinate, sbiadite. Nuove visioni in mostra alla Fondazione Sozzani di Milano, con circa novanta opere che segnano il percorso dell’artista dal 1995 al 2018, con quello che lei stessa definisce tempo al lavoro: «Time at Work. Questa è la storia del tempo che passa e cancella. Qui e ora, la storia che racconto non è completamente mia, è la storia di queste fotografie prima che scompaiano. È il tempo al lavoro. Per caso ho ritrovato queste immagini in positivo da polaroid che non ho terminato; alcune erano inaspettate, altre solo rovinate, molte sbiadite poco a poco. Le ho raccolte e unite con alcuni lavori recenti».

Tracce quasi metafisiche di abiti sontuosi, volti trasfigurati, paesaggi innevati, o la serie di Bagnanti (2000) ancora inedita in Italia, arrivano in mostra con la sua singolare visione dell'universo femminile. Soffusa, emancipata e senza tempo, condivisa per anni con periodici come Marie Claire e Elle, Harper’s Bazaar e Vogue, campagne pubblicitarie premiate con il Liond'or a Cannes (Cacharel) o il calendario Pirelli, firmato per la prima volta da una donna nel 1972.

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Photo by MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images
Sarah Moon, bagnanti, allestimento Time at Work, Galleria Carla Sozzani Milano, 25-11-2018

Un suggestivo immaginario che anima anche le pagine di libri mai pubblicati e Ou va le blanc (2013), il flusso dirompente d'immagini e parole del corto Contacts (1995) e di There is something about Lilian (2001). Il docufilm dedicato alla prospettiva elegante sulla rappresentazione della donna di una pioniera della fotografia fashion come Lillian Bassman.

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Sarah Moon. From one season to another

Il viaggio espositivo si estende al piano terra del suggestivo Armani/Silos, con oltre centosettanta immagini che attraversano la vasta gamma di espressioni e trasformazioni del suo singolare linguaggio artistico, insieme alle pieghe della memoria, del tessuto della visione e di abiti cuciti con i sogni (non solo da Miyake o Yamamoto). Quarant’anni di carriera, scanditi dalle sperimentazioni con il colore e la luce, tutte le varianti del bianco e nero, ma anche un bel po' di alchimie del mondo animale, vegetale e minerale.

Vere icone fashion, affiancano immagini meno note che trasfigurano visioni floreali e industriali, la forma della vita e quella della danza ispirata a Oscar Schlemmer (pittore, scultore e coreografo del Bauhaus). Anche il suggestivo spazio espositivo di Giorgio Armani, entra in sintonia con il flusso personale e poetico delle opere selezionate dalla Moon, privo di riferimenti alla couture della stilista, ma non delle evidenti affinità dei due artigiani di stile ed eleganza senza tempo. Ribadite da Armani quanto dalla Moon: «Ho scelto di mescolare immagini di moda astratte con fotografie meno conosciute. Apprezzo da sempre la couture senza tempo di Armani. A entrambi piace la sfida di fare di più con meno, e di lavorare con o senza colore».