Due cuori e una capanna, e un conto in comune. L’emozione della prima convivenza, il volersi sentire una cosa sola, condividere tutto quanto. Ci siamo passati in molti: la prima storia d’amore “seria” è inevitabilmente toccata dall’argomento finanze. E l’apertura di un conto cointestato con la doppia firma sembra il suggello di una eterna vita insieme: le spese di casa, le cene fuori, non dover più rimpallare “pago io/paghi tu”. Spazziamo via i romanticismi: non c’è niente di più mal calcolato e rischioso. Il conto condiviso funziona in base ad alcune regole molto labili, da discutere e riadattare ogni volta con l'occhio della praticità, senza nascondere nulla all'altro, in base alle proprie eredità di crescita. Il conto in comune convivenza per mutui, case e altro è secondario? Si potrebbe vivere benissimo anche senza, in realtà?

All’epoca della prima storia “seria” io facevo la cameriera con regolare (striminzito) stipendio, lui lavorava come freelance. Avere un unico conto insieme ci sembrava la cosa più matura del mondo, oltre che la più pratica. Lui aveva un secondo conto legato alla partita iva, lo usava per farsi pagare i lavori che poi girava sul conto comune. Ci eravamo raccontati che avremmo risparmiato molto di più unendo tutto in un unico cointestato. Niente di più errato. Sull'onda dell'esaltazione per l'unione economica non avevamo assolutamente messo in conto che qualunque spesa “personale” sarebbe potuta diventare motivo di discussione. Inevitabile quando si guadagna poco meno del minimo indispensabile per garantirsi la dignità, e ogni centesimo deve essere salvaguardato nel limite spese del mese. Un vestito, un pranzo offerto, un banalissimo prelievo veniva implacabilmente registrato col segno meno, e la trasparenza del conto condiviso non concedeva giochetti o bugie innocenti. Quando lui rimase senza lavoro fisso, il dover sopravvivere solo con i pochi soldi che guadagnavo io divenne umanamente insostenibile. Vedere le mie ore di fatica fagocitate per il mantenimento di entrambi lo vivevo come un’ingiustizia, altro che generosità. La storia finì (non per i soldi). Fui io a percorrere la walk of shame del sistemare gli obblighi con la banca: bloccare la firma, modificare l’intestazione, recuperare montagne di carte e documenti per dimostrare di essere l'unica titolare. Implacabile burocrazia che ogni romanticismo (per fortuna) si porta via.

Cosa mi ha insegnato l'esperienza del conto condiviso e separazione conseguente? Cautela, fondamentalmente. E a quanto pare non sono la sola a pensarla così. Secondo un sondaggio del 2018 della Bank Of America, il 28% delle coppie tra i 23 e i 38 anni preferiscono tenere i conti separati, ed è una percentuale che è aumentata sensibilmente rispetto alle epoche precedenti. Nella società contemporanea l’apertura di un conto individuale è diventata prassi, e a (molta) differenza di quanto avveniva in passato le donne sono sempre meno dipendenti economicamente dai mariti, perché loro stesse lavorano e guadagnano. La dicitura “condiviso” mascherava la realtà del singolo stipendio a doppio accesso, ma nell’era odierna non è più così. Le situazioni finanziarie dei singoli tendono ad essere ben stabilizzate quando ci si sposa, ed oggi è perfettamente normale tenere i conti separati invece di optare per la comunione dei beni. Ogni coppia ha la propria economia, i propri sistemi di divisione delle spese, i propri equilibri. Discutere di soldi è una delle cause di fine di una relazione, diciamolo francamente. “Mettere in comune i soldi può causare parecchie tensioni, perché ogni transazione diventa un argomento di conversazione. Non si può discutere di quanto si spende per un taglio di capelli, complica tutto ed è noioso” spiega su The Cut l’esperta finanziaria Farnoosh Torabi.

Una lieve inversione di tendenza sull'aprire un conto in comune si sta registrando, però. Stando all’incrocio di dati su cinque studi diversi condotti dai ricercatori della UCLA, di Notre Dame e dell’University College of London: a quanto pare, le coppie che condividono il conto sono più felici. La chiamano “financial togetherness”, unione finanziaria (in italiano suona un più più fredda, ma tant’è). Cassie Mogilner Holmes, professoressa di marketing alla UCLA e una delle autrici dello studio, sottolinea come il denaro sia in realtà la parte meno importante di questa speciale forma di unione. Com’è possibile? “Significa che le persone condividono determinati obiettivi finanziari. Il senso di togetherness è un fattore fortissimo nelle relazioni felici anche se deriva da azioni non particolarmente romantiche. L’aspetto più noioso e banale del condividere il denaro influenza le persone, che si sentono più “noi” e non “io contro di te”” conclude la professoressa Holmes. Il punto principale di questa unione finanziaria è la maturità di una relazione, la condivisione vera di un determinato obiettivo economico da raggiungere insieme. Secondo Emily Garbinsky, collega della Holmes alla Notre Dame e anche lei tra le autrici dello studio, qualunque azione volta a rinforzare la percezione della solidità di una storia aiuta davvero a rendere la relazione più resistente: ed è un discorso che, va sottolineato, si spinge oltre le finanze.

Tutto molto bello, ovviamente. Maturità individuale, di coppia e finanziaria che vanno a braccetto verso la felicità. Ma dove si colloca l’indipendenza economica, dove mettiamo la soddisfazione di avere la propria carta di credito da strisciare liberamente senza giustificare nulla a nessuno? E soprattutto, non è che con il conto cointestato perdo completamente di vista i soldi? In realtà una cosa non esclude l’altra: “La financial togetherness non va confusa con la rinuncia al controllo delle spese. Il punto è sentirsi allo stesso livello per quanto riguarda gli obiettivi finanziari, e fare discorsi aperti e regolari sui soldi con il partner”. La trasparenza sul conto in comune, in questo caso, può aiutare in positivo le discussioni ma non è necessaria. Una coppia felice comunica e non giudica le spese dell'altro. “Non diciamo che le coppie che hanno il conto condiviso debbano giustificare ogni singola spesa con il partner. Dovrebbero chiedersi più che altro quanto sia appropriato spendere per certe cose, o se è il caso di mettere da parte dei soldi per progetti particolari”. Che possono essere di qualunque natura, dal viaggio di nozze a una nuova cucina, fino a un piano di accumulo di vent’anni per mandare un eventuale figlio all’università. L’unione finanziaria, in sostanza, è tutta qui: obiettivi condivisi da alimentare economicamente insieme. E ognuno si guardi i conti suoi.