Benedetta Parodi

Le sue trasmissioni tv hanno migliaia di fan. Giornalista e gastronoma appassionata, conduce I menu di Benedetta su La7 e pubblica ricettari bestseller. A giugno, con Le ricette magiche di Bianca e Viola, inaugura una nuova collana per bambine (Rizzoli). Ha tre figli: Matilde (10 anni), Eleonora (8 anni) e Diego (3).

«Una cosa che mi manda in bestia è quando mio marito Fabio (Caressa, giornalista televisivo, ndr) - che per il resto è bravissimo, è sempre disponibile, mi aiuta tantissimo - esclama: “Ma te l’avevo detto che mercoledì sarei stato a Londra per una partita”. Come se io tra tutto quello che devo tenere insieme - lavoro, dentista, pallavolo dei bambini, varie ed eventuali - avessi una specie di agenda introiettata. Un’altra cosa: quando registravo il mio programma da casa, a fine trasmissione c’era sempre un ricco banchetto a disposizione. Bene, spente le luci a volte i miei figli mi guardavano e dicevano: “Mamma, non è che faresti la pasta in bianco?”. Scherziamo? Io mi invento piatti diversi tutti i giorni, sperimento, creo e voi mi chiedete una triste pasta in bianco? Quella fase è passata, ma ho ancora un contenzioso in corso: Matilde sostiene che la torta al limone della mensa è più buona di quella che faccio io. Ecco, non ho pace. Per il resto mi considero fortunata, riesco a gestirmi abbastanza bene, a essere presente nelle cose importanti. Devo dire che oggi nei confronti delle mamme che lavorano trovo più rispetto, da parte di tutti. Altre cose che mi danno ai nervi, non ci sono. A parte, me ne stavo dimenticando, le mamme iper organizzate: quelle che al primo raggio di sole si precipitano fuori, e sommergono i figli di attività anche nel weekend. Una volta mi hanno proposto di mandare i miei a un corso di cucina full immersion di sabato pomeriggio. Siamo impazziti?! Noi nel weekend ci vediamo otto film di seguito e non ci alziamo dal divano, è questa la mia idea di fine settimana di “mamma che lavora e si vuole godere i bambini!”».

Anna Maria Ganassini

È la quarta generazione del Gruppo istituto Ganassini, azienda tutta italiana che produce linee cosmetiche come Rilastil e Korff. E Anna Maria, 37enne, attualmente riveste la carica di vicepresidente del gruppo. È sposata e ha due bambini, di 5 e 3 anni. E un terzo, in arrivo tra pochissimi giorni.

«Sul momento non mi viene in mente nulla. Anche se espressioni come “wonder woman” - se non sono dette per scherzo - non mi divertono proprio, perché non mi sento una fuori dalla norma. Diciamo che, senza professarmi femminista, per una donna imprenditrice l’impegno è senz’altro doppio. E, visto che lavoro in un’azienda a gestione familiare e a stretto contatto con mio fratello, non posso fare a meno di notare che lui ha più tempo libero di me ed è anche meno stressato. E come me ha tre figli! Con questo non voglio dire che le donne fanno “tutto”, non è così. Ma la testa siamo noi, su ogni fronte. E questo nonostante io abbia l’appoggio di un marito adorabile e presente. Anche in gravidanza, per me è normale stare in ufficio sino alla vigilia del parto: una volta organizzata la giornata, cosa sto a fare in casa mentre i miei bambini sono all’asilo? Ammetto, incastrare tutto alla perfezione è la mia forza e la mia debolezza. Ecco, adesso so cosa non amo sentirmi dire: “Tanto tu ce la fai sempre, sei così forte...”. E invece penso che se facessi un po’ meno la super emancipata, riceverei più aiuto. Solo una cosa: a chi giudica il mio un perfezionismo eccessivo, ecco la risposta: “Guarda che se fossi anche tu nella mia situazione, faresti lo stesso!”»

Syria

La cantante romana ha esordito nel ’96, vincendo Sanremo Giovani. Dopo l’ultimo album Scrivere al futuro, sarà in tour da aprile e in estate è prevista l’uscita il singolo del suo progetto elettronico Airys. Ha due figli, alice di 11 anni e romeo, la new entry, di 4 mesi.

«Per fortuna le cose mi scorrono abbastanza addosso. Sono molto “vivi e lascia vivere”. Certo, a volte preferirei non sentire qualche commento impietoso di mia figlia Alice. Le racconto che ho un concerto, le elenco la scaletta dei pezzi e lei mi guarda e dice: “Ma mamma, ancora quelle canzoni lì?”. E allora le spiego - ma lei lo sa benissimo - che i fan ci tengono e che “sono i successi della mamma”... Ma il tutto è permeato da un sano senso d’ironia. Ho trovato un mio modo, una mia misura per gestire le cose e, onestamente, fino a oggi non ci ho ancora rimesso. Vivo un po’ sulle nuvole - sono organizzata, certo, quando hai dei figli lo sei per forza, è una specie di Tetris mentale - ma magari mi dimentico la pasta sul fuoco. Anzi per questa mia “inettitudine” - lo ammetto, in cucina sono un disastro, mentre mia figlia e mio marito sono bravissimi - in famiglia mi prendono in giro, ma non mi arrabbio. Cosa mi può infastidire ancora? Magari il commento dell’amica perfettina, che si vanta della sua precisione. Ma poi ci rido su, cerco di tenermi il buono dei consigli dispensati e penso che siamo fatte in modo diverso. E che, tutto sommato, forse io sono più simpatica».

Lunetta Savino

La sua carriera teatrale è iniziata nell’88, con Macbeth. Ma la grande popolarità le è arrivata dalla tv, dall’irresistibile personaggio di Cettina di Un medico in famiglia. Oggi alterna teatro e televisione ai set cinematografici, dopo i ruoli in Tutto tutto niente niente con Albanese e Mine vaganti di Ozpetek. Ha un figlio, Antonio, già ventenne.

«Credo che, molto più delle frasi degli altri, quello che veramente perseguiti qualsiasi madre sia il senso di colpa. La voce che in continuazione ti rimprovera che non fai abbastanza è la tua, c’è poco da fare. Personalmente, ho sempre fatto salti mortali, cercando di incastrare gli orari assurdi delle prove e dei set con le riunioni a scuola, le feste comandate e così via. Il momento culminante è la tournée a teatro, all’inizio è devastante, chiami casa ogni due minuti. Ma con il passare delle settimane la vita “da zingara” riesce in qualche modo a sfumare le cose. Alla fine ti accorgi che quando non ci sei, in fondo tuo figlio mangia, dorme, va a scuola. Impari a non preoccuparti di quello che non puoi controllare. Certo, quando ripenso a un suo tema... Era molto più piccolo, aveva scritto la fatidica frase “La mia mamma non c’è mai”. Un colpo al cuore: ma come, ma se mi faccio in quattro? E la cosa assurda è che più tu fai un lavoro che ti gratifica, più il senso di colpa aumenta. Ecco, l’altra cosa che mi fa imbufalire è quando mi dicono: “Beata te, il tuo non è lavoro, è divertimento”. Ho fatto una lunga, anzi lunghissima gavetta, e so che potrei rinunciare da domani a certi privilegi che la mia popolarità comporta. Ma il lavoro, quello non è mai stato in discussione. Anche perché ti capitano ruoli come quello di Il Figlio della Luna, e interpretare quella madre che lotta per il figlio disabile è stata l’esperienza più dolorosa, coinvolgente e appagante della mia carriera».

Eleonora Mazzoni

Attrice, ha lavorato a teatro, al cinema e in televisione (tra gli altri in Elisa di Rivombrosa, Il commissario Manara, R.I.S. - Delitti imperfetti). L’anno scorso ha esordito con il libro Le difettose (Einaudi), storia di una donna che non riesce ad avere un figlio e ricorre alla fecondazione assistita. È mamma di due gemelli, Matteo ed Emma (15 mesi), sta lavorando al secondo romanzo e all’adattamento teatrale del suo libro che diventerà un monologo interpretato da Emanuela Grimalda.

«La maggior parte delle cose fastidiose di solito me le dice mia madre. Circondata dall’aura della grande madre, il suo perenne sottotesto è: i figli so crescerli soltanto io. E infatti, lei che faceva la maestra, non è che dà consigli: dispensa dogmi. Il primo: “Niente asilo nido, i bambini devono stare con la madre fino ai tre anni”. Io infatti, per ritagliarmi 3 o 4 ore il pomeriggio per lavorare, ho preso una tata. Ma non basta, e infatti continua a ripetere: “Ma tutti i pomeriggi?”. Per sintetizzare, diciamo che non sopporto tutti quei commenti/consigli che ti fanno sentire un’egoista/imbranata, nonostante gli sforzi per bilanciare lavoro e tempo da dedicare ai figli. Quando è uscito il mio libro, i gemelli erano molto piccoli, e ho cercato di centellinare le presentazioni. Però mi ricordo ancora il sopracciglio alzato di una mia amica quando le ho detto che sarei andata a Londra due giorni: “Dormi fuori? Io non l’ho mai fatto”. Ma come! A casa c’erano lei, mio marito, la tata, mica li ho lasciati in mezzo alla strada! All’elenco aggiungo anche le pressioni tipo, “ti mando le bozze domani mattina, mi rimandi tutto rivisto domani sera?”. Oppure le amiche, quelle che non hanno figli e non si capacitano del fatto che anche per lavarti i capelli ti devi organizzare. E se ne escono con la frase che ti fa infuriare davvero: “Ma dai, come fanno tutte le altre? Non ce li hai mica solo tu i figli!”».

Paola Maugeri

Paola Maugeri è vj, conduttrice tv, dj su Virgin Radio (il suo programma Long Playing Stories è seguitissimo), attivista vegana e mamma di Timo, un bimbo di 5 anni e mezzo. Dalla sua esperienza di impegno ecologico ha tratto il libro La mia vita a impatto zero (Mondadori). Sta lavorando a un nuovo programma televisivo e a un nuovo libro.

«Io cerco di organizzarmi per passare tanto tempo a casa, e devo dire che l’esperienza del mio anno vissuto a impatto zero ha cambiato tante cose, ho rallentato un sacco. Sarà che, essendo mamma siciliana, il senso dell’accudimento ce l’ho nel DNA, ma in realtà penso che i bambini dovrebbero stare il più possibile con i genitori. Mio figlio frequenta la scuola steineriana ed esce all’una, cosa che trovo assolutamente giusta. Ho scelto un metodo educativo che fa attenzione all’evoluzione emotiva del bambino, quando invece mi pare che ci sia la tendenza a farne dei piccoli capitani di industria, con un’agenda fitta di impegni già a 5 anni. E su questo ogni tanto arriva la frase che mi infastidisce: “È troppo attaccato a te, lo farai crescere mammone”. Altro commento urtante? “Ma basta, dagli il latte artificiale, non sei un’africana”, perché l’ho allattato fino ai suoi 4 anni. E poi ci sono le dinamiche del quotidiano. L’irritante “Non ci potevi pensare prima?” che riguarda tutto, magari il fatto che ho dimenticata di compare la passata di pomodoro. Oppure: “Ma non esci mai?” detta da chi non considera che parte del mio lavoro è anche “presenziare”, e che quindi a fine giornata ho solo voglia di ritagliarmi uno spazio familiare. Altra frase urticante - io scrivo quasi sempre a casa e vado in radio una volta alla settimana - è di chi candidamente esclama: “Di cosa ti lamenti! Tu non vai in ufficio, hai più tempo!” Ma cosa vuol dire? Se lavoro, lavoro, non sarò in fabbrica ma ho delle scadenze anch’io...».

Matali Crasset

Dagli oggetti, ai mobili per bambini alla progettazione di interni (suoi gli eco hotel Hi e un visionario giardino per il Centre Pompidou), la designer francese mette in ogni progetto il suo segno netto e avveniristico. Ha due figli, Popline, 12 anni, e Arto, 9.

«Più che una singola frase, quello che mi disturba è un pregiudizio duro da scardinare, che vorrebbe le madri che lavorano in qualche modo “colpevoli”. La domanda allora la faccio io: colpevoli di cosa, e perché? Come se l’educazione dei figli fosse un territorio riservato solamente alle donne. Io non la penso assolutamente così, secondo me è una responsabilità da condividere. Anche per questo ho scelto di adattare il mio modo di lavorare alla mia vita familiare. E istintivamente ho riprodotto la modalità in cui vivevano i miei genitori agricoltori, per loro vita e lavoro erano un tutt’uno. Il mio studio è dentro casa e questo mi permette di stare vicina ai miei figli. In più, mio marito Francis, che è partner nello studio, è un pezzo importante del nostro puzzle, è lui che si occupa dei bambini quando sono in trasferta. Non mi interessa lavorare per una grande agenzia di design. Seguo progetti molto diversi tra loro, ma io “sono” tutto quello che esce dal mio studio, quindi cerco sempre di fare scelte che mi corrispondano, come quella di lavorare con un’équipe molto ristretta. In questo modo, riesco a veder arrivare i miei figli da scuola, posso seguirli nei compiti, preparare loro la merenda. Cose semplici, ma che a me sembrano essenziali. Il lavoro di designer permette di gestire gli impegni, ma anche la propria libertà. E questo è un lusso straordinario».