È uno dei momenti più belli della giornata. Sono sdraiato sul letto, è quasi ora di dormire, sto leggendo e mia figlia, nove anni, fa altrettanto di fianco a me. A un certo punto solleva lo sguardo dal libro e domanda: che cosa sono i bàdili?
Di solito avrei segnalato al volo l’errore di accento ma, questa volta, per una serie di motivi non subito evidenti, mi limito a rispondere, provando un brivido: è come una pala, una vanga, rimandando la correzione a un’altra occasione.

Resto con un senso di disagio, volatile come un accento. Perché non ho approfittato per insegnarle a parlare correttamente?
Riporto qui le riflessioni fatte in seguito, consapevole che, su questo terreno, non potrò mai avere ragione; in famiglia il mio ruolo è suggerire ipotesi non difendibili. O perché voglio complicare le cose (così sostengono gli altri all’unanimità), o forse, ed è la mia speranza, per provare a vederle da una prospettiva diversa e far inciampare chi mi è vicino su un gradino invisibile, per risvegliare la sua attenzione e sentire meglio.

Torniamo al bàdile. Perché sono stato zitto, godendomi quella parola sgangherata? Era un segno della sua età, un pesce che aveva indugiato troppo, sfuggendo alla rete della crescita, della scuola, lontano dalla rotta giusta. Quel pesciolino viveva pacificamente il proprio ritardo.
Nel momento in cui l’ho lasciata dire bàdile ho fermato l’orologio, permettendole di vivere il presente, e di assaporare fino in fondo il piacere di andare avanti nella lettura, senza occuparsi d’altro, cioè del suo futuro. Lei ha abbassato di nuovo il capo sulle pagine, io sulle mie. Insieme abbiamo tenuto a bada il domani e un’educazione rivolta a crescere esseri funzionanti, validi.

Lo scopo dei bambini è crescere, ma non può essere l’unico o forse è sopravvalutato: anche essere pienamente un bambino lo è. Le loro attività, leggere, giocare, fare sport, scoprire, sfogliare il tablet... noi le valutiamo per il loro effetto a distanza. Faranno di lei un’adulta saggia, corretta, inserita? Non si tratta del tipico richiamo a non riempire le loro giornate di esperienze, ma a valutare l’effetto immediato. La vera provocazione (rieducazione?) oggi è vivere nel presente.

Anch’io mi affido spesso alla speranza che esista un meccanismo causa effetto per cui, se oggi il figlio fa così, quando sarà grande diventerà cosà. Entro certi limiti funziona. Forse è meglio aggiungere un altro pensiero, se oggi fa così è perché gli piace, è ciò di cui ha bisogno. Non è evitare la responsabilità, è non aver fiducia soltanto nell’effetto a distanza.

I bambini sono la nostra scommessa su un domani che non ci appartiene; è per amore che riempiamo quest’azzardo e il buio con certezze, lo progettiamo con cura; forse stiamo però facendo i conti più con il nostro futuro. È questo a spaventarci. Proprio perché hanno tempo, glielo riempiamo di futuro.

Il bàdile è una scheggia del passato che, prima o poi, qualcuno aggiornerà.
Adam Gopnik è uno scrittore capace di dire cose laterali su molti temi. Ha difeso anche il valore del presente nell’educazione. Scrive: “Il motivo per cui non vogliamo che i nostri figli vedano film violenti non è il timore che da grandi saranno psicopatici. Non vogliamo che li vedano adesso”.

Quella sera il mio silenzio era dettato dall’egoistico piacere di vederla leggere in pace. Non è facile sostenere un punto di vista così tra genitori senza passare per l’irresponsabile, preferisco quindi scriverne qui.
A rimettermi a posto, ci ha pensato mio figlio.
Ma che cosa dici!? I bambini sono i soli che vogliono crescere!