ITunes, uno degli “oggetti” più eclettici dell'era digitale, capace sotto la stessa insegna di essere un jukebox in grado di gestire l'immagazzinamento e la riproduzione dei brani, di interfacciarsi con i device mp3 prima e con gli smartphone, ma anche fungere da negozio online per l'acquisto di musica, film, serie tv, podcast e poi anche store per le app. Tutto questo, nei giorni scorsi, è stato spazzato via da un lungo discorso di Tim Cook, che ha cantato il requiem di uno dei figli per tanto tempo prediletti dal suo predecessore, per poi presentare la sua evoluzione: tre app dedicate (rispettivamente alla musica, ai podcast e alla Apple TV).

Dopo quasi vent'anni, quindi, va in pensione il software multimediale che Apple lanciò contestualmente all'iPod, aprendo ufficialmente la strada alla diffusione del download legale e in considerazione della visione di Steve Jobs, il quale aveva capito già da tempo che il futuro formato della musica sarebbe stato in formato digitale. La nuova piattaforma Apple ha il grande plus di permettere di organizzare facilmente i file musicali sul proprio computer e di masterizzare i Cd. Il suo slogan? Rip, mix, burn ovvero "Catturare, mixare, masterizzare". E così, mentre il download illegale prolifera, la società di Cupertino dà la sua risposta risolutiva: l'iTunes Store, un negozio di musica e poi video online.


Lanciato dopo il software iTunes, permette di acquistare canzoni legali per meno di un dollaro e sincronizzarle sul proprio iPod, e quindi sull'iPhone a partire dal 2007. Nel 2003, i brani dello store sono già oltre 200 mila e, di fronte al calo delle vendite di Cd, molti tra artisti e case discografiche si persuadono a firmare contratti con Apple, che in seguito metterà in commercio una versione del proprio sistema anche per Windows. Con il tempo, la società della Mela Morsicata è in grado di creare un enorme database di utenti, ma il vento sta nuovamente cambiando e non riesce in maniera così efficace ad assecondarlo, non così bene come nell'intento riescono nuove realtà che decidono di scommettere sul successo dello streaming.