Ad un angolo di una strada provinciale, dalle parti di Bethel, città rurale dello stato di New York, due ragazzi dormono, o forse chissà, sono stremati da droghe lisergiche e da qualche grammo di marijuana di troppo. Uno di loro è sdraiato sul cofano, l'altro è più comodamente accoccolato sul tettuccio. Sotto i jeans a zampa non indossano scarpe, se le saranno tolte girovagando tra quei prati, in quei giorni particolarmente affollati. Qualcuno passa di lì, guardandoli con un mezzo sorriso benevolo, di quello che ci si fa tra camerati impegnati nella stessa battaglia, quello della rivoluzione al sistema americano, messa in atto proprio lì, nelle stesse coordinate alle quali appartiene questa foto, scattata durante l'epocale concerto di Woodstock del 1969. La macchina sulla quale i due giovani partecipanti appoggiano le membra sfinite dalla musica e da quell'esaltazione di massa che distinse quei giorni che non cambiarono il mondo, pur andandoci molto vicino, era un Maggiolino Volkswagen. Una macchina di cui oggi termina, definitivamente, la produzione (nello stabilimento messicano di Puebla), non interrompendone di certo il mito. Una quattro ruote capace di cambiare così radicalmente faccia, in effetti, sarà difficile rivederla.

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Nata nel 1934 dal progetto di motorizzazione di massa immaginato dal Fűhrer – che aveva già costruito la rete autostradale, l'Autobhan, e voleva una macchina con la quale farla percorrere a tutti i tedeschi – è poi divenuta sinonimo della controcultura americana degli Anni 60 e 70. Da Hitler agli hippie, il passo è stato incredibilmente breve, ma la musica è radicalmente cambiata, passando dalle marce militari agli inni contro la guerra dei Creedence Clearwater Revival, Joan Baez e alle ballate folk di Janis Joplin. Pare che Hitler, appassionato di motori al punto di esserne discretamente ossessionato, chiamò Ferdinand Porsche, creativo del settore a cui non difettava un certo temperamento pericoloso – cosa che, ci si immagina, piaceva molto ad Adolf – chiedendogli di progettare un veicolo dalle caratteristiche precise: dovevano starci, più o meno comodamente, cinque persone, doveva andare ad almeno 100 km/h, e doveva costare meno di 1000 marchi, rendendo l'investimento assolutamente alla portata di tutte le tasche. A guerra finita, con la produzione interrotta, gli inglesi e gli americani pensarono bene di riaprire gli stabilimenti – se i tedeschi dovevano pagare i debiti di guerra, era meglio che avessero un'economia florida abbastanza, d'altronde. La macchina, a cui si aggiungerà dopo il fratello maggiore, il Maggiolone – dai volumi maggiori e dal bagagliaio più capiente – arriva in America, e in maniera solo apparentemente sorprendente, diventa il bene di importazione più venduto dell'epoca.

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Consumava poco, la meccanica sulla quale era costruita era basilare, rendendola facile da aggiustare, e costava molto di meno delle muscolari vetture locali, la Ford Thunderbird su tutte: con un lavoro estivo, i liceali dell'epoca si potevano permettere in qualche mese di racimolare i 1799 dollari richiesti per l'acquisto, e partire verso la costa, verso la ricerca di se stessi, o al massimo di qualche ashram dove sperimentare altri viaggi, trip psichedelici, a base di peyote. Fu proprio durante Woodstock che la dominazione del Maggiolino divenne conclamata. Molti ci arrivarono in gruppo, preferendo però la sua versione van – di cui la produzione è ormai interrotta da anni, ma qualcuno sussurra che per il 2022 la Volkswagen intenda invertire direzione. Colorato, ovviamente dei pattern floreali in voga all'epoca, piaceva per il suo essere controcorrente, e lontano dai canoni estetici di un'epoca, alla quale, evidentemente non apparteneva. “It's ugly, but it gets you there”, declamavano infatti le réclame, che ci si immagina venir fuori dagli studi pubblicitari newyorchesi sgamatissimi di creativi in odore di casual Friday, alla maniera dei santi protettori dei sixties televisivi, Don Draper e Peggy Olson di Mad Men. “Live below your means”, proclamava un altro ironico advertising successivo, a sottolineare l'economicità del sogno americano (nato in Germania, ma sono dettagli, nell'affabulazione collettiva made in USA). Ce n'erano di ogni tipo, parcheggiati a qualche centinaio di metri dal palcoscenico sul quale si esibì Joan Baez, al sesto mese di gravidanza, il marito obiettore David Harris appena arrestato per quel suo atto di ribellione al Vietnam di guerre e adolescenze spezzate. La scaletta si concluse con We shall overcome, inno pacifista che era nato due decadi prima, ma che rinacque con lei, su quel palco. Gli Who cominciarono il loro set alle quattro di mattina, forse per una lite con gli organizzatori, e forse per il nervosismo – anche se non ci voleva molto per far spaccare chitarre sul palco a Pete Townshend – forse perché, da inglesi, quell'entusiasmo lo capivano per metà, proprio Pete scaraventò giù dal palco l'attivista Abbie Hoffman, usando la solita arma con la quale deliziava e puniva fan e detrattori, la sua chitarra.

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I Maggiolini erano ancora lì quando i Creedence – già allora monumenti assoluti del rock americano, impermeabile alle mode della psichedelia eppure capace più di altri di raccontare la verità a muso duro – suonarono. Quella canzone molto criticata, Fortunate Son – ironia in musica sulla casualità di chi nasce figlio di militari o senatori, e di chi, invece, alla guerra, sempre quella del Vietnam, ci deve andare – sarà però pubblicata solo a settembre, neanche due mesi dopo. Janis Joplin, altra headliner dell'evento, ce la si ricorda chiaramente, girare per le strade di San Francisco con un Maggiolino, anche se, con la sua solita ironia, pregava il Signore di regalarle una Mercedes-Benz, nella canzone omonima. In realtà quel Maggiolino dai motivi lisergici, era una Porsche, anche se, come si può facilmente dedurre, dietro c'era la stessa mano che aveva disegnato la vettura Volkswagen, quella di Ferdinand Porsche, e nel 2015 è stata battuta all'asta da Sotheby's per 1,8 milioni di dollari. Ma forse, è l'affetto a far rivivere ovunque, anche dove non c'è, le tracce dei pneumatici di un autovettura entrata senza fare troppo rumore nella simbologia di un'era, e poi ancora di un'altra epoca, del tutto diversa. Un'affezione simile a quella che si riserva alla dolce metà, e in effetti ogni paese ha dato al Maggiolino, formalmente TYP 1, un nomignolo diverso: in Inghilterra e America è stato il Beetle, in Francia Coccinelle, Fusca in Brasile e Vocho in Messico. L'ha amata il cinema, che le ha regalato persino una sua volontà e personalità indipendente, e, come prevedibile, abbastanza eclettica (Herbie – Il maggiolino tutto matto, 1968), il fumettista Tiziano Sclavi l'ha regalata a Dylan Dog come pagamento per il primo caso risolto (con targa invisa ai gruppi cattolici oltranzisti, DYD666). Oggi a Puebla le dedicheranno una cerimonia, ma non sarà di certo una liturgia funebre. Forse solo un rito di passaggio, per traghettarla nel futuro, dove avrà la solita forma, e, ancora, una nuova identità.

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