Quanto tempo. In isolamento, ti svegli con questa montagna di ore in tasca, sembra pesantissima, poi si dissolve in fretta. Due passi a destra, una brutta notizia di là, apri il frigo, chiudi lo riapri, così con i pensieri, i sogni del dopo e che rimandi perché prematuri, meglio lasciarli sull'albero. Ed è sera, scuoti la testa, dov'è finito il tempo? L'unica attività in cui riesco a fermarmi e dove un'ora occupa davvero un'ora, non è un'attività ma un luogo e nemmeno un luogo vero e proprio: sta dentro o forse dietro, o meglio, stava, è nella mia testa, è il passato. C'è così poca certezza dall'alba in avanti, ma quanto rassicurante e definita può essere la vita precedente e che si può riattivare con un clic, anzi, viene lei a farsi coccolare come un gatto affamato.

A riaprire la scatola del passato è un film, non lo vedevo da decenni, non avevo il coraggio di proporlo in coppia, i figli grandi lo snobbavano e a ragione, e la piccola doveva essere protetta da tanto squallore. Ma chiusi in casa, ci sentiamo anche noi sfigati, così propongo di guardare quel mattino tutto marrone e senza pause del risveglio nel primo Fantozzi.

Eccoci: siamo disagiati che guardano altri disagiati.

E ridiamo come pazzi, quando si deve riprendere dopo aver baciato la Pina, perché beve il caffè lavandosi i denti, e mia figlia non può credere che io sia così infantile e se la ride, soltanto io però ci sguazzo dentro fino al collo, ricordando quel pomeriggio, in un cinema del centro, a sghignazzare così forte che mi ritrovai, insieme al mio migliore amico, seduti per terra, buttati giù dalle poltrone da un'insopprimibile ilarità. Per qualche giorno l'intonazione catastrofica di Villaggio s'infila nelle nostre espressioni, mentre continuiamo a fissare il muro oltre la finestra, con la nuvoletta chiusa dentro la testa.

Sarà per tutto questo guardare cose non succedono che, quando per parità tocca alla mia compagna scegliere la sua destinazione, ferma la sua macchina del tempo in un'elegante (lei è della Bilancia) parodia della nostra condizione. La finestra sul cortile. Immagino avesse nostalgia dei vestiti di Grace Kelly, dell'aplomb di James Stewart: Jeff era immobilizzato, con la gamba rotta, aveva una promessa più garantita. Un countdown di giorni, dieci, cinque, e poi via il gesso; il nostro cronometro scatta, si ferma, cambia strada: sembra finito il tempo delle scadenze. Ci sentiamo però vicini a loro, e quindi all'imprevedibilità e alle speranze nascoste nei drammi, quando Lisa (Grace), se ne va minacciando: Non mi rivedrai per molto tempo. Comunque... non prima di domani sera! Non si possono lasciare, nemmeno noi!

A muovere l'orologio per noi, sono gli altri e ci mancano.

Piccole razioni di passato sono consumate in altri modi. La figlia decenne compulsa la raccolta di foto che la ritraggono e giacciono nella memoria del mio smartphone; torna alle prime, non crede di essere stata così bassa. Ha bisogno, credo, di vedersi diversa, perché è vero che, stando sempre dentro casa, senza che un'amica possa criticarla o apprezzarla, nulla cambia. A muovere l'orologio per noi, sono gli altri e ci mancano. Non è un caso che di tutte le chat, quella su cui passo più tempo, è quella dei superstiti delle elementari, ho deciso il nome: vecchia guardia. Colpa dell'immagine scelta per il suo profilo: la foto di classe, sotto il classico platano, immobili come statue, guardando il tempo davanti, così vasto da non credere che potesse mai mancare.

Nella mia voragine temporale m'imbatto in una strada equivoca, si potrebbe scivolare, mentre, sdraiati uno di fianco all'altro nel lettone, cerco su Google le immagini giovanili delle attrici che mi hanno fatto ballare l'occhio, forse il mio ingenuo cuore. Devo trovare un escamotage per permettermi di assistere nuovamente alla loro bellezza e con qualcuno che confermi la mia ragione sentimentale. È mia figlia. Grazie ai tutorial sa tutto di estetica e trucchi, quindi la provoco, che ne dici, lei è truccata bene o male? Trascorro così minuti dorati davanti alle labbra di Jessica Biel (“Ha gli occhi troppo piccoli!”, la spietata); riscopro passioni impolverate, ma nel rendere loro omaggio, sfogliando Google Images fino agli abissi, ritrovo un candore, ero io, era tutto più facile, quando il problema era non perdere d'occhio Valérie Kaprisky nel remake di All'ultimo respiro o la sensualità –ho sempre creduto inconsapevole– di Greta Scacchi in The Coca Cola Kid. E Debra Winger in Ufficiale e gentiluomo? Non propongo di rivedere i film perché mi deluderebbero, mi basta proiettarli dentro di me.

La figlia chitarrista è tornata indietro a strafarsi di latte condensato.

Al tramonto sento il bisogno di fumarmi da solo un pezzetto della mia storia. Ci vuole una canzone, e quella che moltiplica lo struggimento dell'ora, lo spreme, ne fa un bel pacchetto di ricordi, meglio, di desiderio di ricordare è Wish You Were Here. Scelta banale. Ma c'è una versione –Sparklehorse più Thom Yorke– che prende lo strazio dell'assenza e te lo inocula in vena. Parlo con mia figlia grande, non è qui con noi. E cosa dice? Che cosa fa per superare questa grande ansia ferma? Dopo anni ha tirato fuori la chitarra elettrica, il fratello l'ha accordata, e si è messa a studiare il pezzo dei Pink Floyd. La figlia chitarrista è tornata indietro a strafarsi di latte condensato. Appena me l'ha detto, mi sono autocertificato per raggiungere gli alimentari e, preso da raptus felicemente d'antan, ho afferrato una confezione di sottilette, con quel colore così, la carnagione del passato.