Mono, doppio o triplo strato, chirurgica, protocollata FFP3 o colorata, la mascherina protettiva è diventata il simbolo dell’emergenza Covid-19. Entrata nella nostra quotidianità, abbiamo iniziato a ritrarci indossandone una. Abbiamo dato un’occhiata sui social media con la piattaforma Pulsar, nel contesto del Barometro Hearst Italia, per provare a capirci di più.

In Asia la mascherina protettiva risulta presente già da più di un secolo, racconta Christos Lynteris sul New York Times. Là è un simbolo di modernizzazione del sistema sanitario. Qui in Europa, nel giro di poche settimane, abbiamo assistito a un vero e proprio rovesciamento nella percezione. Impegno civico, solidarietà, senso di appartenenza: i significati sono tutti nuovi. Il selfie con la mascherina ci rende parte presente di una grande storia collettiva, che si declina sui social media con tutti i registri tipici del mezzo.

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La sua funzione di coprire il volto, celando l’identità di chi la indossa, ci pone però problemi di comunicazione profondi. Se infatti la mascherina ci unisce nel proteggerci e proteggere gli altri, contemporaneamente ci rende più anonimi, omologati e spersonalizzati. Ecco che la mascherina fai-da-te, da soluzione pratica al problema di reperibilità di quelle standard, diventa qualcosa di più potente: ci permette di distinguerci dagli altri e di recuperare la nostra immagine, perché in essa condensiamo il nostro stile, i nostri gusti e le nostre passioni, funzionando come una vera e propria protesi della nostra identità. Ci siamo divertiti a raccogliere le soluzioni più interessanti sui social media italiani.

Da elemento di limitazione per l’espressività della metà del volto, cui consegue un impedimento a livello comunicativo, la mascherina si trasforma in superficie di iscrizione; si tratta di uno spazio neutro attraverso il quale abbiamo la possibilità di trasmettere un messaggio identitario, oppure uno slogan, promozionale – pensiamo ad esempio alle aziende ed ai locali che hanno distribuito ai clienti mascherine con il proprio logo – o addirittura politico. In Polonia, per esempio, ecco la saetta-simbolo dello sciopero contro la politica antiabortista del Governo.

La mascherina diminuisce sensibilmente la nostra espressività: quanto possono influire un sorriso o una smorfia su un atto comunicativo? Come racconta il semiologo Massimo Leone, la mascherina trasforma la struttura del nostro viso, rendendolo più simile ad un muso animale. Coprendo gli elementi con cui ci protendiamo verso gli altri, come il sorriso, ci rende potenzialmente aggressivi, o se non altro difficili da decodificare. Disegnare una bocca sulla mascherina ristabilisce quindi, anche solo simbolicamente, un messaggio pubblico allegro e privo di intimidazione.

Quando il suo solo disegno non basta, invece, ecco nascere la mascherina per comunicare con i non-udenti, che, grazie ad una finestra di plastica trasparente permette la lettura del labiale.

C’è poi chi ha voluto sdrammatizzare, spesso a uso e consumo dei propri follower, creando mascherine inutili a livello di protezione ma estremamente divertenti. Segno di una risposta forte rispetto alla crisi della pandemia, perfettamente coerente con lo spirito ludico con cui il web affronta in genere qualsiasi cosa.

E dalla mascherina come meme, per la mascherina virale il passo è breve. Il selfie del macellaio della provincia di Siena, con la sua mascherina di fette di salame ha riscosso un successo tale da indurlo a metterla in vendita a scopo benefico. Come didascalia dell’immagine leggiamo “Coronavirus, non ti temo”, frase chiave per la lettura di questo tipo di immagine: la sdrammatizzazione non sminuisce il problema né deride la tragedia, diventa invece un antidoto contro la paura.

Chiudiamo la rassegna con la serie “How to survive a deadly global virus” di Max Siedentopf, artista noto per le sue provocazioni che produce mascherine d'arte già pronte per musei, collezionisti e storiografi del Coronavirus.

DaEsquire IT