La tecnologia ce l’ha dimostrato con una forza che non pensavamo possibile: da quando siamo in quarantena i nostri consumi culturali e di intrattenimento sono cresciuti del 30%. Semrush, piattaforma dati per il web marketing che ha analizzato i comportamenti degli italiani dall’introduzione delle restrizioni, ha detto sostanzialmente che stiamo più tempo in cucina, visitiamo musei online (impennate si registrano sull’Accademia di Brera e sul Louvre) e utilizziamo molto di più le piattaforme di streaming. Già a fine febbraio i picchi di traffico più alti erano sky.it (oltre 42 milioni di
accessi nel mese), raiplay.it (27 milioni) e mediasetplay.mediaset.it (18,5 milioni). Ma i tassi di crescita più considerevoli sono stati di Rakuten Tv (+144%), Infinity Tv (+133%) e
Amazon Prime Video (+120%).

«Le piattaforme non sono più una nicchia della nostra esperienza», fa notare Paolo Magaudda, sociologo dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Padova. «La mente oggi si nutre via streaming e costruisce così la sua identità culturale».

Quali sono i prodotti più popolari? Gli ultimi dati Iab Italia, l'associazione di agenzie media, dicono che il 33% si butta su servizi di video in streaming (Netflix, Amazon
Prime eccetera); il 23% di gaming come Xbox Live e Play Station Network; il 18% su piattaforme di musica in streaming come Spotify.

«Che la fine dello zapping sia vicina emerge su tutte le fasce di popolazione ed è in crescita ovunque rispetto alle rilevazioni dell’anno scorso», dichiara Antonio Filoni, Head of Digital Offering di Bva Doxa, «ma risulta più evidente tra i consumatori tra i 18 e i 34 anni e ancor di più tra quelli dai 35 ai 54».

«I giovani guardano i video su YouTube, i giovanissimi su TikTok e giocano online», racconta Salvatore Aranzulla, 30 anni, divulgatore digitale, autore di molti libri tra cui Il Metodo Aranzulla (Mondadori). E precisa: «Non ho ancora dati certi sul lockdown, ma so che la parola streaming nelle ricerche è cresciuta più del 30% ed è associata a Disney+, Now Tv, Netflix e Amazon Prime».

Poi ci sono i podcast. Se il 2019 ha segnato 160mila ascolti quotidiani e 4 milioni e mezzo mensili, aspettiamoci che da febbraio 2020 siano almeno otto volte tanto. L’obiettivo è rendere friendly questo uso, così quando non sarà più gratuito, gli utenti aumenteranno.

Quanto siamo disposti a investire? «Lo streaming dipende dalla potenza dall’infrastruttura digitale. I dati sottolineano che non siamo tutti uguali. La banda larga c’è in 7 famiglie su 10: il Sud è quello che paga un processo a rilento», sottolinea Fabrizio Fornezza, presidente di Eumetra MR, istituto di ricerca su mutamenti sociali e innovazione. E precisa: «Si può calcolare che la spesa media mensile vari dai 9,99 euro a un massimo di 40-50 euro. Sono le famiglie a pagare, i giovani hanno meno disponibilità e si appoggiano agli abbonamenti che permettono più profili».

«Io spendo poco meno di 30 euro al mese, per film e musica. Ma le mie piattaforme sono usate anche da mio fratello in Sicilia», conferma Aranzulla.

Gli ultimi dati diffusi da Ernst & Young sugli abbonamenti a piattaforme streaming in Italia (Netflix, Amazon Prime Video, Timvision, Now Tv, Infinity, Eurosport Player e Dazn) arrivano a 8 milioni. I numeri per singoli operatori sono segreti, ma complessivamente si contano 6 milioni di sottoscrittori unici e 11 di utenti fra abbonati e familiari.

La musica è su misura. Complice forse questa primavera in quarantena le note in streaming pare si nutrano di nostalgia in tutte le fasce d’età. «Mi faccio le playlist personali e gestisco quelle collettive per il mio gruppo di amici», spiega Giorgio, 26 anni, studente universitario di Milano. Continua: «Le fasi della vita hanno una colonna sonora, una memoria sentimentale che posso rivivere. Riesco a risalire alla musica che ascoltavo 5 anni fa e a trovarmi subito immerso in quelle sensazioni». Un effetto madeleine di Proust in chiave tech anche per Marina, 55 anni, impiegata lombarda: «Vado spesso a cercare vecchi spezzoni di spettacoli teatrali e programmi tv che non sono più in onda. Questo mi permette di recuperare un patrimonio culturale e familiare dimenticato. Posso anche parlarne con i colleghi, come succedeva quando da bambina alle elementari andavo a scuola e chiacchieravo per ore di Canzonissima».

Il marketing di queste piattaforme pensa già al dopo Covid-19. Per ora sta facendo grandi numeri senza sforzi. Non guadagna, ma raccoglie i nostri gusti e li incasella tutti ordinatamente. Anche perché «più si consuma online, più si ha l’esigenza di ricercare poi eventi di persona», conclude Paolo Magaudda. «Così si riscopre la cultura dal vivo. Quando vediamo scossa la nostra vita, le nostre relazioni e il sistema generale, andiamo a ricercare i contenuti che ci aiutano a riflettere, dandoci una prospettiva. E ritroviamo il senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi». Una comunità fatta di storie, digitali sì, ma anche umane.