Cosa pensano veramente gli italiani oggi della pandemia? GlobalWebIndex lo ha chiesto a un campione rappresentativo di mille persone, in una rilevazione condotta per la terza volta in 17 paesi dal 22 al 27 aprile.

La prima domanda: quanto siamo preoccupati? L'Italia ha un valore medio simile a paesi come UK e Francia. Nel corso delle ultime 5 settimane le paure sono diminuite di qualche punto percentuale, sempre rivolte più alla situazione globale che a quella nazionale (un fenomeno che si riscontra un po' in tutto il mondo). Non abbiamo un'idea chiara di quanto durerà l'epidemia: le risposte sono molto distribuite, tra chi la immagina serpeggiare per 2-3 mesi (20%), 4-5 mesi (14%), 6 mesi (17%), fino a un anno (26%) e anche più di un anno (14%). L'impressione è di una grande confusione, quella che si percepisce un po' in tutti i settori: dalla sanità ai media, passando per la grande richiesta di chiara leadership politica. C'è di buono che siamo meno pessimisti della media globale, anche se un po' meno ottimisti degli americani. Gli ottimisti sono i più giovani, ma complessivamente solo il 6% pensa che finirà tutto in meno di un mese. Crescita importante nel corso del mese di aprile della durata immaginata qui in Italia (chi pensa a una durata di almeno sei mesi passa da 28% a 57%), che corrisponde a un calo di circa 10 punti percentuali nelle risposte fiduciose che il paese ce la farà. Passata la fase della crisi più acuta, sembrano subentrare l'affaticamento verso una situazione lunga di cui non si intravedono i contorni.

L'impatto sull'economia domestica si prevede in parti abbastanza simili piccolo (39%) o grande (34%). Qui la differenza con francesi, inglesi e americani è forte: siamo più preoccupati, specialmente i giovani della Gen Z. Immaginiamo un impatto grave o drammatico sulle finanze personali nel 44% dei casi, valore che sale però al 94% parlando di economia su scala nazionale o globale. Sul mercato del lavoro hanno sofferto meno le generazioni più anziane e le donne (senza però un uguale tasso di impiego). Drammatico l'effetto di ineguaglianza sociale: il dato globale dice che i redditi più bassi hanno più spesso perso il lavoro (12% invece del 4% per i redditi più alti che invece hanno più spesso dovuto affrontare solo riduzioni di orario o di compenso). Le spese rilevanti (ad esempio un'automobile) sono state rimandate nel 74% dei casi, ma nel 51% dei casi sono state tagliate anche le spese quotidiane e nel 31% dei casi abbiamo ritoccato anche abbonamenti di vario genere. I risparmi sono già stati intaccati dal 27% delle persone, un valore che in Francia e Germania è del 17%, in UK del 24%, in USA solo del 15%. I consumi di lusso sono rimandati leggermente di meno rispetto a fine marzo e complessivamente con un valore simile a UK e USA, paesi che però non mostrano ancora segnali di ripresa. L'Italia più degli altri desidera tornare a fare shopping (44% rispetto a 32% in UK e 37% in USA). Quello che gli italiani chiedono più degli altri paesi sono offerte, sconti e promozioni: il dato è molto alto e in crescita. L'abbigliamento, segmento dove lo stop è stato più rilevante, è assolutamente top of mind insieme alle vacanze (che però sembra che faremo senza prendere aerei, diventeranno a chilometro zero, vacanze senza viaggio). Rispetto ai francesi si direbbe che siamo più spaventati del new normal: uscire non è una priorità, cinema, bar, negozi, anche in palestra si pensa di andare meno. Sì al workout in casa e sì ai nuovi consumi tecnologici (e-commerce e app di delivery, video conferencing). Il tema del digital divide diventa chiave, quasi di cittadinanza, specialmente se letto per fasce d'età.

Rispetto ai consumi culturali si conferma quanto visto in passato nelle nostre rilevazioni del Barometro Hearst. Interessante lo scarto donne/uomini: tre punti percentuali in più per le donne sul consumo di libri e lo stesso per i maschi verso le riviste. Giornali appannaggio dei maschi, con sei punti percentuali di differenza e una situazione speculare per le donne sui social media. Più Netflix per le donne, più notiziari per gli uomini. Si legge nei numeri un po' di affaticamento con il passare delle settimane: ci siamo stufati dei social media, delle news, del computer e anche molto degli hobby (un po' anche della famiglia ma non sta bene dirlo). Molto interessante la domanda: quali attività scoperte durante l'epidemia conti di aumentare in maniera stabile nel futuro? Libri, cucina, messaggistica privata, vita in famiglia. Grazie al Coronavirus, abbiamo riscoperto un mondo lento, intimo e di grande soddisfazione. Vincono a mani basse la cucina nell'universo analogico e il video in quello digitale. Per la cucina vedremo cosa succederà con il ritorno ai ritmi frenetici dell'anno scorso, per il video è più probabile che si tratti di uno dei cambiamenti epocali che i futurologi citano di continuo come portato della crisi e che stiamo solo iniziando ad immaginare.

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