Sono passati dodici mesi, è l’inizio di dicembre 2021. A causa di un prodigioso sortilegio mentale, oppure perché semplicemente non ce la facevamo più, per un decreto governativo o la grande confusione che regna sotto il cielo, il Natale 2020 è saltato e mi preparo a quello dell’anno successivo. La mia famiglia sta per riunirsi: io vorrei trovare un dono adatto a ognuno. Questa volta il regalo non sarà materiale ma ispirato a un loro desiderio, a ciò che immagino possa renderli segretamente felici. Nel tentativo di far emergere ciò che oggi è sepolto sotto rinunce, divieti o autocensure. Un desiderio, dopo che per troppo tempo l’ago della bilancia che ci governa ha oscillato verso il suo opposto, la paura.

Inizio da mia figlia grande: a lei, sempre così suggestionabile di fronte ai pericoli invisibili del mondo esterno e, come molti della sua generazione, anticipatrice delle regole di distanziamento stile Covid, regalo l’obbligo di sentirsi libera di
abbracciare tutti e superare i propri vecchi fantasmi legati a contatti e contagi. La lunga stagione del virus ci ha reso tutti più “famiglia” e difensori di ciò che ci appartiene ed è noto. Fuori dal paesaggio casalingo, ogni appuntamento con il nuovo è diventato sospetto.

A suo fratello, il primogenito, offrirei lo spazio e il tempo per un incontro, perché a questo occorre rendersi disponibili, non si può scegliere di incontrare qualcuno in un momento e luogo dato: succede e basta. Gli auguro allora che il pianeta faccia silenzio, così che riesca a sentire quando è in arrivo quel momento.

Pensando alla mia compagna che negli ultimi mesi ho visto stanca, rinunciataria di fronte ai piaceri, vorrei che lei imparasse a memoria qualche passo delle poesie di Kim Addonizio, appena pubblicate nell’antologia Nuova Poesia Americana volume 2 (edizioni Black Coffe): Voglio rialzarmi e mettermi indosso quel vestitino nero e aspettare te, sì te, che vieni qui e ti inginocchi e mi dici che sono una fica pazzesca. Oppure, senza strafare: Voglio passeggiare come fossi l’unica donna sulla faccia della Terra, che può scegliere ciò che le pare e piace. Anzi, vorrei omaggiare questa licenza d’espressione rispetto ai propri desideri, ai parenti di ogni grado. Come se non avessimo già sprecato il diritto di essere splendidi e desiderati. Come se valessimo più di ogni altro, però meritandolo.

E ai miei anziani genitori, che hanno superato l’anno più duro dal loro 1944-1945? A mia madre vorrei regalare la sicurezza che, anche se non sono a pochi passi da lei - e nell’ultimo anno questo suo bisogno era naturalmente grande - sono sempre pronto a correre per salvarla; mentre per un padre che non ha mai chiesto nulla per sé e che, di fronte a qualsiasi regalo con cui mi sia presentato, ha detto ma sei matto, io non voglio niente!, a lui vorrei donare il coraggio necessario per andare una volta ancora là da dove proviene la nostra famiglia, dove è nata questa nostra particolare forza e resistenza. Sulle colline profumate di mare dove era nato suo padre. La crisi ha fatto capire quanto sia necessario riscoprire le origini, l’avvio della storia, per il contatto duro con la terra, anche soltanto per ricordare ciò che è stato dimenticato.

All’improvviso arriva una voce, mi scuote: ero perduto nei pensieri. È mia figlia piccola. Siamo in una di quelle sere buie di metà novembre in cui la luce sembra non possa tornare. È ancora il 2020. È pronta a rispondere alla domanda che le avevo fatto prima di mettermi a fantasticare; mi guarda con intensità, riportandomi con i piedi per terra.
Per il Natale del 2021, vorrei questo, come regalo: diventare più alta.