La senti e pensi subito bollicine. Perché anche se sono le 18 di un venerdì di un ottobre complicato, e lei si è alzata alle 4 e mezza ed è stata tutto il giorno sul set, parlare con Chiara Francini è come tuffarsi in una bottiglia di frizzina. In un batter di ciglia, in cui decidiamo di darci del tu, ti ha avviluppato, trascinato e fatto ridere (parecchio). Quando nomina l’amato gatto Rollone (che mai come ora ha un ruolo di un certo spessore), quando si racconta. Attrice - nel suo curicculum ci sono tantissimi film, tra cui Miracolo a Sant’Anna e Martin Eden, serie tv e spettacoli teatrali -, scrittrice (molto amata) e conduttrice, vive un momento intenso. Ha finito le riprese di Altri padri di Mario
Sesti, in cui è protagonista con Paolo Briguglia, sta ultimando Addio al nubilato di Francesco Apolloni, riprenderà la tournée teatrale di L’amore segreto di Ofelia e di Coppia aperta quasi splancata, e ha finito il quarto romanzo Il cielo stellato fa le fusa (in uscita da Rizzoli). Il libro narra le vicende di un gruppo di persone riunite a Villa Peyron, Fiesole, per un finesettimana di cibo e cultura, che a causa di quello che succede fuori (vi ricorda qualcosa?) si ritrova bloccato nella villa per sei giorni, anzi giornate, che gli allegri sodali trascorrono gustando piatti succulenti e raccontandosi novelle. Una sorta di riscrittura del Decameron con irresistibile zampata felina.

Bene, partiamo da qui. Com’è nato questo libro? Tutte le storie che scrivo nascono dalla necessità, dalla voglia, dalla curiosità di andare a toccare un materiale umano che mi suscita qualcosa. L’idea era scrivere un romanzo che fosse una commedia umana, struttura che mi dava la possibilità di sondare, sporcarmi, pulirmi con questa martoriata e splendida umanità. E di raccontare storie diverse, spaziare in mondi diversi, epoche differenti facendo in modo che tutte le novelle fossero dei tondi perfetti. E mi piaceva l’idea un po’ folle che il Boccaccio qui fosse un gatto, Rollone il Vichingo, detto Rolando Rosa.

ritratto di chiara francini di byron mollinedopinterest
Byron Mollinedo

Appunto. Nei tuoi romanzi ci sono sempre gatti, e Rollone (quello vero) troneggia anche sui tuoi social. Ma come ti è venuta l’idea di assurgerlo a controcanto del mondo?
Sono profondamente spontanea anche quando scrivo. Non faccio schemi, non ho la prima e la seconda versione, ne ho solo una. La mia è una disarmonia prestabilita. Mi sembrava giustissima l’idea di rendere narratore, deus ex machina, questo gatto così umano, carnale, terreno e così incredibilmente colto, così capace di vedere l’umanità in tutto quel paniere di delizie e schifezze. Il gatto è un animale che ti guarda dall’alto anche quando sta per terra, li trovo molto affascinanti e poi ho questo amore per il mio, che ho qui davanti. Mi sembrava perfetto. Poi ovvio dietro ci sono io, c’è il mio essere tagliente. Lui mi dà l’opportunità di guardare il creato dall’alto e di poter sbenedizionare.

Verbo bellissimo. Nel libro lo usa Lauretta, la governante, uno dei personaggi cui ci si affeziona di più.
Viene da un sonetto del Belli, il mio babbo è romano, ed è un amante di Porta, di Belli e fin da piccola mi recitava e mi faceva leggere le poesie. Mi è venuto spontaneo usarlo.

Un passo indietro. Hai iniziato come attrice. Quando scrivere ha fatto irruzione nella tua vita?
Sono sempre stata una grande amante della scrittura e ne ho sempre avuto molto rispetto. Ma non avevo cose nel cassetto. Quando mi hanno chiesto di scrivere un libro ho rifiutato, ho deciso di farlo quando mi è nata una storia. Volevo qualcosa che rimanesse, ma non mi sarei aspettata che andasse così bene e tutto quel che è successo da lì in poi. La scrittura è l’atto più coraggioso e incosciente che io abbia potuto fare ed è ciò che più mi dà l’opportunità di mostrare quelle che sono le mie tinte.

Perché?
Hai la possibilità sulla punta della penna di creare mondi. Scrivere è un po’ essere Dio. La recitazione, la scrittura nascondono - anzi per me non nascondono - questa grande necessità di essere amata dai tuoi simili. Scrivere è restituire i propri tratti in maniera onesta. E il bello è che vedi che vengono riconosciuti i tuoi colori. Siamo tutti composti dallo stesso arcobaleno, e non c’è niente di meglio, di più abbracciante che vedere gli altri che si rivedono, sono imbrattati, si puliscono dei tuoi colori.

Qui ci sono storie raccontate e storie da ascoltare. Quanto abbiamo bisogno di storie?
Tanto, tantissimo. Raccontare significa condividere, comprendere come per vivere e sopravvivere bisogna procedere per mano. E narrare una storia significa mostrarsi nella propria meravigliosa e umana imperfezione. Vuol dire vedere, riconoscersi belli e giusti anche negli sbagli, nell’orrore, nelle cadute, nelle ferite. È come una carezza, una mano calda sulla pancia quando ti fa male, una profonda manifestazione di umanità.

Ricapitoliamo: attrice, autrice, conduttrice... Più che una sola sembrate una moltitudine.
Ma sono una donna, e le donne sono assolutamente capaci di questo. Sono una donna normalissima che ha aperto la sua voliera. Ma siamo tutte così. Credo che l’unico dovere che abbiamo sia quello di essere felici e ambiziose.

E come si fa?
Bisogna avere la consapevolezza delle proprie caratteristiche, capire bene i propri talenti e forse ancor più i propri limiti perché lì nel mezzo c’è la strada del successo e quindi della felicità. Penso che si debba cercare di realizzarsi, che significa sentirsi utili a se stesse, come quando fai qualcosa che ti stanca molto ma ti riempie, ti sfama, ti nutre. Credo che le donne debbano ricercare e percorrere quella via, essere consapevoli di quant’è bello camminare per raggiungere una meta che hanno sognato e quanto sia importante anche il viaggio. Tutte le volte che tocco un progetto è perché ci credo profondamente e credo nella capacità che ha la donna di abbracciare, nella generosità che mette nel modo di amare, nel perseguire ciò in cui crede. Ho fatto cinema, commedia, film autorali… tutto questo non significa essere speciale, significa semplicemente essere una donna.

Di cosa le donne dovrebbero essere un po’ più consapevoli? Del grande potere dell’autoironia e dell’ironia, che è quello che riveste di bellezza l’imperfezione. Per certi versi anche di quanto l’essere accoglienti e generose nel modo di amare non deve caricarle di pesi che poi le fermano, rischiando di farle sprofondare in una palude come il cavallo Artax di Atreiu di La storia infinita.

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Courtesy Chiara Francini

Chiara Francini con Alessandro Federico nello scatto usato per la locandina dello spettacolo Coppia aperta quasi spalancata di Dario Fo e Franca Rame, diretto da Alessandro Tedeschi.

A un certo punto del romanzo scrivi: «E se è vero che a volte una donna è costretta a fare la stronza, a volte fare la stronza è la sola cosa che resta a una donna». È così?
Be’, sì, nel senso che l’essere stronza significa discostarsi da quella che è concepita come la normalità. È il disviare. Quando parlo dell’ironia, della consapevolezza, è un disviare da quello che si pensa debba essere o fare una donna per essere giusta.

Anche adesso?
Se ripensi anche ai casi di femminicidio, dipendono dal fatto che il maschio non è alfabetizzato. La donna oggi è un meraviglioso microcosmo metà tradizione e metà avanguardia, modernità. Siamo tutti degli animali e gli animali quando si trovano di fronte qualcosa che non riconoscono hanno paura e attaccano, ed è esattamente quello che succede. Gli uomini non hanno compreso questo meraviglioso e nuovo universo, è necessario che si alfabetizzino. E in questo caso essere stronza significa semplicemente deviare da un’idea di normalità che non collima più con ciò che siamo. Essere normali significa anche essere stronze.

Sono tante le cose da mettere a posto tra maschi e femmine?
Grazie a Dio sì, perché il cambiamento significa movimento e non c’è niente di più bello di muoversi, imparare, progredire, camminare. Credo che la vita e quello da cui deriva la vita, cioè il rapporto tra un uomo e una donna, sia necessariamente sempre in fieri.

Facciamo un gioco: se anche tu dovessi stare in una villa per alcuni giorni, con chi vorresti essere?
Con i miei amici più stretti, Francesco, Andrea, Mara... Mi piacerebbe anche coinvolgere delle persone che stimo, come Patrizia Cavalli, la poetessa. O personaggi storici, come Maria Antonietta, e Giovanna d’Arco. E Frederick (Lund­qvist, svedese, suo compagno da 15 anni, ndr) anche perché cucina benissimo, io non so fare nulla. Ma amo molto mangiare.

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Courtesy Chiara Francini

Chiara Francini in un momento delle prove dello spettacolo L’amore segreto di Ofelia di Steven Berkoff, diretto da Luigi De Angelis, in cui recita con Andrea Argentieri.

Nel libro il cibo è molto presente. Qual è quello che ti fa l’effetto madeleine?
I momenti di più grande gioia della mia vita anche quando ero piccola erano tutti legati al cibo. E questo mi fa ripensare ai miei nonni materni, con i quali sono cresciuta perché i miei genitori lavoravano, quindi pane vino e zucchero, pane con l’olio o il modo che aveva mia nonna di cucinare le verdure... D’altra parte sei fatto di quello che hai mangiato. La Loren diceva: «Io sono questa grazie agli spaghetti». Ecco, io sono questa grazie alla schiacciata.

Hai mai pensato «non ce la faccio»?
Sì, mi capita molto spesso, è necessario farlo, ma non ci devi credere fino in fondo. Deve essere un qualcosa che ti sprona e ti fa capire come a volte è importante anche cadere, soffermarsi, magari fare un passettino indietro. Quindi sì, lo penso ma questo non mi ha fatto mai fermare.

Cosa ti salva nei periodi complicati?
L’ironia, l’autoironia e l’amore che ho per la vita.

C’è qualcosa che ti dà stabilità in questa vita piena?
La passione per la bellezza, intesa come giustezza del fare qualcosa, nello scegliere qualcosa. Quindi la passione, che è sempre movimento, forza germinativa. La passione feconda e faconda.

Una cosa che vorresti realizzare?
Molte. Per esempio mi piacerebbe trarre un film o una serie da uno dei miei romanzi.

Come ti definiresti?
Viva.

Torniamo al romanzo. Il sottotitolo del weekend di cibo e cultura è «come un uovo: la rinascita vien mangiando»: la nostra da dove verrà?
Da noi, dalla consapevolezza di come tutto il creato è fatto di meraviglia e bruttura, sanità e malattia. E dal fatto che la straordinarietà, non scordiamoci, non sta nella malattia ma nella salute.

Ah, ultima domanda: adesso che il libro è finito, Rollone che ne pensa?
È molto soddisfatto. Fa un po' l’uggioso ma in realtà ci ama profondamente, ci guarda dall’alto con quei suoi occhi a spiraglio. E un pochino vorrebbe essere umano anche lui.

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Courtesy Rizzoli

Il cielo stellato fa le fusa, il nuovo romanzo di Chiara Francini, una commedia umana contemporanea, che pulsa di brio e vitalità, esce l’1 dicembre da Rizzoli (€ 18).