Non so voi, ma nell’ultimo anno io sono andata a letto sempre più tardi. Tirar mattina davanti alla tivù a rivedere le sette stagioni di West Wing è stata una pacchia, e anche tutte quelle notti colorate da film e da serie. Poi qualcosa si è rotto: perché oggi mi sento così rintronata, perché neanche ricordo cos’ho guardato fino alle 3 e sono di pessimo umore? «Il nostro unico competitor è il sonno», ha detto Reed Hastings, il Ceo di Netflix. Mica vero. Per me l’unico competitor di tutti i vari canali streaming non è il sonno bensì l’anestesia che ti prepara al sonno, e dunque al risveglio. Più si sono moltiplicati i mesi di clausura, più il mio corpo e i miei neuroni hanno avuto sempre più bisogno di film portatori di bellezza, humour e sentimenti larghi. Aggirarsi sulle varie piattaforme è un po’ come andare per saldi: c’è tanta roba, costa poco, poi torni a casa con quel golfino nuovo e scopri che nell’armadio ne hai uno simile, e molto più bello. Basta basta, ho deciso: d’ora in poi ordine, precisione e il telecomando maneggiato come una sonda. Ma non è come dirlo: quel film di Billy Wilder non c’è, Altman e Lubitsch manco a parlarne... Però se hai pazienza trovi tesori sepolti. Di George Cukor per esempio ci sono un tot di capolavori (ma non quella meraviglia di Ricche e famose, vergogna!) e da quando un paio di mesi fa sono riplanata sul suo Scandalo a Filadelfia ringrazio Mubi quasi ogni giorno. Che intelligenza, che sfavillìo, che spregiudicatezza: è del 1940, e se fosse girato dopodomani sembrerebbe un po’ troppo avanti. Ancora a proposito di Cukor: su YouTube c’è il suo Amore tra le rovine (del ’75), con Katharine Hepburn e Laurence Olivier: l’ho adorato cent’anni fa e l’ho appena rivisto. Ho riso, ho applaudito due attori giganteschi, ho apprezzato che il trattino fra un doppio cognome (Granville-Jones) «ispiri confidenza», e quando nell’ultima scena lui le dice «grow old along with me, the best is yet to be», mi sono un po’ commossa e sono andata a dormire abbastanza felice. Grazie anche a YouTube per avermi fatto ripescare due vecchi film di Claude Sautet. Les choses de la vie del 1970 (da noi titolato L’amante: che bravi, che dono della sintesi!), con Michel Piccoli, Romy Schneider e Lea Massari tutti e tre in stato di grazia e d’impareggiabile bellezza. Guardatelo, e poi ditemi se quello non è un gran bel modo di raccontare le cose della vita: senza sconti, senza fronzoli, ma aggiungendo bellezza, dettagli e sfumature che rendono tutto ancora più vero. E poi César et Rosalie (È simpatico, ma gli romperei il muso, del ’72), ancora con Romy Schneider, sempre più radiosa e sempre più brava, e accanto a lei Ives Montand (mai così magnifico, cialtrone e irresistibile) e Samy Frey. Quello che il titolo italiano astutamente adombra è che nel film ci sono due uomini che si piacciono ma che però amano, ricambiati, la stessa donna. L’avevo visto cent’anni fa, in una notte buia e tempestosa ci sono rifinita dentro, e il giorno dopo ero tutta un sorriso.

Amo il cinema di un amore assoluto e dal cinema credo d’avere imparato due o tre cose fondamentali, anche se così su due piedi non saprei dire quali. Ringrazio lo streaming per tutto, ma specialmente per Succession, Il metodo Kominsky, tutti i film con Lino Ventura, tutti i film di Truffaut, di Stanley Donen, di Sidney Lumet... Ma: per quanto la mia tivù sia grande e lì davanti io ci stia bella comoda, al cinema è tutt’un’altra storia, al cinema il regista sta parlando proprio con me, e io mi sento a casa, al sicuro.