Nel febbraio 1961, dietro uno dei tanti atelier che fiancheggiano l’Impasse Ronsin, nel quartiere parigino di Montparnasse, una giovane donna armata di carabina di calibro 22 spara su una serie di rilievi in gesso – risultato dell’assemblaggio di utensili domestici, vecchi giocattoli e altre cianfrusaglie – al cui interno ha posto dei sacchetti di vernice colorata. È l’artista franco-americana di origini aristocratiche Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – San Diego, 2002) e questa è la prima delle sue Shooting Actions, le performance con cui fino al 1963 esprimerà la propria rabbia contro il padre che l’ha violentata quando ha appena 11 anni. Con lei, quel giorno, ci sono il futuro marito Jean Tinguely, lo scultore Daniel Spoerri e il critico Pierre Restany insieme ai fotografi Harry Shunk e János Kender che la immortalano mentre, in tuta bianca attillata, sguardo magnetico e viso angelico da ex modella, brandisce un’arma e grida loro di fare lo stesso: colpire la società e le sue ingiustizie, sublimando nell’arte la violenza del mondo.

Entrata a far parte del movimento artistico del Nouveau Réalisme – unica donna con Arman, Christo, Yves Klein, Spoerri, Tinguely e altri – negli anni seguenti Saint Phalle si dedica alle Nana (dal nome della prostituta delineata dallo scrittore francese Émile Zola), gigantesche sculture policrome che raffigurano corpi iperbolicamente femminili di acrobate e danzatrici (le vengono ispirate dalle forme generose dell’amica incinta Clarice Rivers, moglie del pittore Larry Rivers) e che, come grandi madri primitive nell’era di pin-up e sex symbol, mal si adattano al ruolo di oggetto del desiderio maschile. «Amo ciò che è rotondo, le curve, l’ondulazione; il mondo è rotondo, il mondo è un seno», dice. L’opera della sua vita è però il Giardino dei Tarocchi, un vasto parco di figure mostruose – i 22 arcani maggiori del mazzo dei tarocchi – che l’artista ha immaginato decenni prima, quando, poco più che ventenne, era rinchiusa in un ospedale psichiatrico e l’arte le indicava la via della guarigione.

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Peter Granser
Interno dell’edificio casa del Parco dei Tarocchi

Situato a Garavicchio, nel comune toscano di Capalbio, il Giardino dei Tarocchi si ispira al Parco Güell di Gaudí, a Barcellona, ma è più mistico e, nell’idea dell’artista, finalizzato a creare un mondo alternativo. Saint Phalle lo descrive come «una sorta di paese della gioia, dove potresti avere un nuovo tipo di vita, semplicemente libero». A renderne possibile la realizzazione è anzitutto la famiglia Caracciolo (insieme a quella Marella che nel 1953 ha sposato l’avvocato Gianni Agnelli), nobili napoletani che le donano un considerevole appezzamento di terra (circa due ettari). Grazie a loro, al coinvolgimento degli abitanti del posto e di svariati artisti, tra cui lo stesso Tinguely, Niki de Saint Phalle comincia a costruire il suo sogno, un microcosmo di simboli a cui lavora incessantemente dal 1979 al 1996, autofinanziandosi anche con la creazione di un profumo, gioielli e foulard. «Sto seguendo un corso che è stato scelto per me, seguendo un bisogno urgente di dimostrare che una donna può lavorare su scala monumentale», scrive in una delle decine di lettere conservate nel suo archivio a San Diego.

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Hans Hammarskiöld

Oggi il comune di Capalbio la celebra con una grande esposizione curata da Lucia Pesapane. Dal 9 luglio al 3 novembre Il luogo dei sogni: il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle porterà il messaggio femminista, ecologico e all’avanguardia dell’autrice negli spazi di Palazzo Collacchioni (dove si ripercorre la storia del Giardino con foto, video, sculture, maquette e collage) e in quelli della galleria Il Frantoio (che espone invece i lavori antecedenti agli anni ’80). A MoMA di New York, intanto, fino al 6 settembre un’altra mostra – Niki de Saint Phalle: Structures for Life, a cura di Ruba Katrib – mette l’accento sull’approccio interdisciplinare e l’impegno dell’artista sul fronte politico e sociale attraverso più di 200 opere che ne ripercorrono l’intensa carriera. Come ha dichiarato lei stessa: «se la vita è un gioco di carte, noi nasciamo senza conoscerne le regole, e tuttavia dobbiamo giocare la nostra mano».