“Meno del 5% degli artisti della sezione di Arte Moderna sono donne, ma più dell’85% dei nudi sono femminili.” Era il 1989 quando il gruppo di artiste Guerrilla Girls, con l’opera provocatoria Do women have to be naked to get Into the Met.Musem? riempiva gli spazi pubblicitari di New York, dando vita a una bufera mediatica. Non si è ancora placata la voce della protesta (come dimostrato dal recente scandalo Weinstein o dai neonati movimenti di denuncia come #MeToo) ma, da trent’anni a questa parte, le donne sono effettivamente riuscite a varcare la soglia del museo, vestite. E soprattutto autorevoli, preparate, brillanti e propositive. Alla direzione di importanti istituzioni o nel ruolo di curatrici indipendenti, le storie di queste figure meritano di essere raccontate. E con loro, quel retrogusto di amore e lotta che caratterizza ogni conquista. Oggi parliamo di…

Italiane alla riscossa! Questo sesto capitolo della rubrica sulle curatrici più influenti è dedicato alla storia - a lieto fine - di una nostra conterranea che, approdando nel Nuovo Mondo, ha portato all’apice la propria carriera, rendendo il proprio nome un punto di riferimento all’interno del sistema artistico internazionale. Parliamo di Valentina Castellani, ovvero la “Regina di quadri in casa Gagosian” come l’aveva definita Panorama in un articolo datato 2013. Infatti, la curatrice partita da Torino con un background puramente classico (laurea in archeologia greca) si è guadagnata un ruolo dirigenziale a fianco del gallerista più potente al mondo. Larry Gagosian, americano di origini armene, è il gallerista per eccellenza, considerato da tutti “lo squalo” del mercato dell’arte. Nella sua scuderia ci sono gli artisti più costosi di sempre (Jeff Koons, Damien Hirst, Andy Warhol e Picasso…) con sedi distribuite nelle città più strategiche del pianeta: New York, Los Angeles, Londra, Roma, Ginevra, Hong Kong, Parigi.

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Larry Gagosian

L’iniziazione di Valentina al mercato dell’arte parte in realtà da uno stage presso la casa d’aste inglese Sotheby’s. Nella Londra del 1997 impara il mestiere di “cataloguer”, passando ore a catalogare ogni dettaglio delle opere destinate alle aste. Dopo poco, la sua intraprendenza da dealer in erba la spinge a mettersi sulle tracce dei proprietari di opere ancora sconosciuti da Sotheby’s. Un lavoro certosino e investigativo che fa andando a "bussare porta a porta", fino a trovare importanti tesori che ripagano di tutte le fatiche: "Mi ricordo la collezione di un vecchio medico che viveva fuori Torino: trovai il suo nome sul catalogo ragionato di Piero Manzoni, gli scrissi, lui rispose e lo andai a trovare. Aveva tre Manzoni e tirò furori dalla cantina persino una decina di Fontana straordinari e anche un piccolo Warhol", ci racconta. "Vendemmo tutta la collezione e stabilimmo il record di prezzo per Fontana con un quadro rosso meraviglioso, acquistato da un importante collezionista europeo".

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Lo dobbiamo anche a lei se le opere di Piero Manzoni e Lucio Fontana (sì, rispettivamente gli artisti della “merda d’artista” e dei “tagli su tela”) sono attualmente le uniche italiane in grado di raggiungere stime elevate nei mercati internazionali. Tant'è che, nel 2008, ha organizzato una mostra di Piero Manzoni negli spazi di Gagosian - un’eccellente vetrina per la prima retrospettiva in assoluto dell’artista milanese - e poco dopo una su Lucio Fontana. A curare entrambe fu Germano Celant, oggi direttore artistico della prestigiosa Fondazione Prada di Milano. In particolare, nella mostra di Fontana fu messa in rilievo l’essenza dei buchi e dei tagli, ovvero la visionarietà di un’arte che cerca l’infinito, dalla tela alla terza dimensione. L’audacia con cui affrontò questa mostra distolse per un attimo il pubblico dall’atmosfera pesante che gravava su New York nel 2008, anno della crisi finanziaria. Le mostre gettarono nell’entusiasmo la critica e lo stesso gallerista.

E a proposito del tanto temuto Larry? "Larry mi diede da subito molto fiducia e libertà d’azione: gli devo moltissimo. Mi ha insegnato la determinazione, a non mollare mai, a mirare sempre al massimo e a seguire l’istinto. Una cosa che mi è congeniale perché, come lui, non sono una personale particolarmente razionale". Furono anni concitati, in cui la galleria raggiunse la sua età dell’oro e il lavoro di Valentina Castellani si fece sempre più intenso, dividendosi tra l’organizzazione di mostre di impianto museale, la vendita di opere per cifre esorbitanti e la ricerca di nuovi pezzi. Dopo 11 anni intensissimi e irripetibili "un po’ perché mi sembrava di avere fatto tutto il fattibile, un po’ perché avevo voglia di libertà e di essere padrona del mio tempo", ci confida, decise di lasciare la galleria e buttarsi nel mondo dell’art dealing. Oggi tratta privatamente importanti opere, mediando tra i collezionisti e monitorando le vendite, con una buona dose di know how sulla gestione dei rapporti personali e della conoscenza delle collezioni, il tutto in nome di una privacy tassativa. La nuova avventura? Si svolgerà alla New York University, dove terrà lezione in alcuni corsi del Master di Visual Arts. Perché vendere arte è un’arte in sé, e il sapere va tramandato.