“Meno del 5% degli artisti della sezione di Arte Moderna sono donne, ma più dell’85% dei nudi sono femminili.” Era il 1989 quando il gruppo di artiste Guerrilla Girls, con l’opera provocatoria Do women have to be naked to get Into the Met.Musem? riempiva gli spazi pubblicitari di New York, dando vita a una bufera mediatica. Non si è ancora placata la voce della protesta (come dimostrato dal recente scandalo Weinstein o dai neonati movimenti di denuncia come #MeToo) ma, da trent’anni a questa parte, le donne sono effettivamente riuscite a varcare la soglia del museo, vestite. E soprattutto autorevoli, preparate, brillanti e propositive. Alla direzione di importanti istituzioni o nel ruolo di curatrici indipendenti, le storie di queste figure meritano di essere raccontate. E con loro, quel retrogusto di amore e lotta che caratterizza ogni conquista. Oggi parliamo di...

È la portavoce della black culture e anche il volto del women power. Consapevole e determinata, è lo spirito dell’Harlem. Thelma Golden, 52 anni, cresciuta nel Queens, ha iniziato nel 1987 il suo percorso nell’arte contemporanea come stagista, proprio allo Studio Museum Harlem. Il museo, nato nel ’68, è situato in quello che per antonomasia è il cuore della comunità afroamericana a Manhattan: questo quartiere, spesso teatro di guerriglie urbane e criminalità, ha però vissuto a partire dagli ultimi decenni, una ripresa che l’ha visto trasformarsi in una delle zone più sofisticate e cool di New York.

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Lo Studio Museum di Harlem rappresenta quindi non solo un archivio di memoria legata alla black culture (il museo vanta di una collezione permanente di più di duemila opere appartenenti a 400 artisti, per oltre 200 anni storia) ma anche un centro per innescare un dialogo costruttivo sull’arte e sulla società del domani. È qui che, nel 2000, Thelma Golden è tornata come direttrice, dopo oltre dieci anni di lavoro presso il Whitney Museum, portando con sé una carica tutta nuova (nonché un progetto di espansione di 122 milioni di dollari). "La mia finestra affaccia sulla 125esima strada", racconta in un’intervista per Artsy. "Mi sento come se fossi in strada ogni giorno. C’è un’incredibile quantità di movimento, è il movimento della gente, delle macchine, i suoni. Questa è la forza della vita della strada in sé. Essere all’interno di questo vortice è qualcosa di straordinario".

Dopo aver conseguito la laurea in storia dell’arte ha ricevuto tre dottorati onorari e una medaglia dalla Barnard College, Thelma è stata inserita nel Comitato per la Preservazione della Casa Bianca dall’allora presidente Barack Obama, ed è tuttora membro della Barack Obama Foundation a Chicago. Insomma, una serie di traguardi che farebbe gonfiare spropositatamente l’ego di chiunque, e invece la troviamo seduta nel salottino di Black America, il web program condotto da Carol Jenkins, a raccontare se stessa e il suo lavoro, decisa sì, ma più modesta che mai. Ricorda gli insegnanti che l’hanno fatta avvicinare ai musei newyorkesi, che le hanno fatto chiarezza sulla strada da prendere, ringrazia i genitori che hanno sempre creduto nell’importanza di un’istruzione di qualità.

Cita anche Black Male: Representations of Masculinity in Contemporary American Art, la sua mostra più significativa curata al Whitney Museum nel 1994 in cui fu la prima “black director” nella storia del museo. La mostra si incentrava sulla figura dell’uomo di colore come un’icona: tramite le opere di 29 artisti (tra cui David Hammons, Lorna Simpson, Robert Mapplethorpe, Jean-Michel Basquiat e Andres Serrano) si proponeva di ribaltare tutti gli stereotipi negativi (come il machismo o l’aggressività) per promuovere un’immagine più socialmente costruttiva nell’era della conquista dei Diritti Civili. "Le immagini rivelano come lo studio dell’arte sia uno strumento essenziale per interpretare difficili questioni sociali e promuovere il cambiamento nella società. Comprendiamo anche che, attraverso la comprensione del contesto sociale, raggiungiamo un più profondo apprezzamento dell’arte stessa".

Il sostegno che Thelma Golden riceve per condurre le proprie battaglie, nasce prima di tutto a partire dalla sfera privata: il marito Duro Olowu, conosciuto nel 2006 a un party in un’afosa sera estiva, è un affermato designer londinese nonché un appassionato collezionista d’arte. Nonostante le distanze - lui a Londra, lei nella Grande Mela - il loro rapporto è nutrito da grande stima reciproca, e da una comune passione con cui coltivano i propri percorsi professionali. Vederli insieme in pubblico è un evento riservato a rarissime occasioni, come accadde quella volta nel 2014 alla cena di Stato in onore del presidente francese François Hollande, quando Thelma Golden era seduta direttamente alla sinistra di Obama.

Per queste e per molte altre ragioni, Mrs. Golden si piazza all’ottavo posto della classifica dei Power 100 di Art Review del 2017, in salita rispetto all’anno precedente. Sempre nel 2017 è stata addirittura segnalata da Artnet News tra gli 11 profili che potrebbero ambire alla carica di direttore del Met di New York. Ma nonostante il prestigio sociale, il suo cuore la riconduce sempre al suo battito primordiale: la strada. Intesa come luogo di incontro, legame con la vita quotidiana e connessione con la comunità. Harlem è una storia da preservare e raccontare, e lo Studio Museum è la prova di come si possa immaginare e realizzare un futuro per se stessi. Di come l’arte sia la leva necessaria del cambiamento.