«La parola “gratuito” ha un grande fascino. Difficilmente pagheremmo per ciò che abbiamo avuto gratis. Lo dimostra un esperimento piuttosto divertente. In una università hanno messo in vendita due tipi di cioccolato: uno più buono a cinque dollari e uno meno buono al prezzo di due. Tutti hanno comprato il più caro. Quando invece hanno messo in vendita quello più buono a tre dollari e gratis il peggiore, tutti hanno scelto il secondo. Questo spiega che l’abitudine, in senso economico, è una forza molto potente. Fondamentale. Funziona anche in senso opposto: ci hanno anche abituato a spendere, senza troppo riflettere, per acquistare qualcosa di cui non abbiamo veramente bisogno ma riteniamo abbia il potere di farci stare meglio, di consolarci.

«Pretendere beni e servizi senza spendere il giusto lede molti diritti» (Walter Siti)

Nell’Occidente neoconsumista, che continua a essere consumista nonostante le periodiche crisi economiche, continuiamo a far finta di niente anche quando siamo consapevoli che, per esempio, stiamo comprando dei beni molto economici che, per avere quel prezzo, non rispettano i diritti di chi li ha realizzati: un meccanismo che è ben illustrato nel documentario The True Cost sull’industria dell’abbigliamento a basso costo. È diventato un nostro abito mentale. Da un lato il problema è che il ceto medio impoverito, i borghesi, oggi piccolo borghesi, cercano dei surrogati a basso prezzo ma che diano la stessa impressione del lusso. Dall’altro, c’è la scelta di non pensare ai soldi così come a tante responsabilità morali alle quali ci sottraiamo. E in questo processo la tecnologia ha avuto un ruolo chiave. Io, a oltre 70 anni, vado in crisi d’astinenza se il cellulare si rompe. Non ragioniamo abbastanza sul fatto che “free”, in inglese, vuole dire “gratis” ma anche “libero”».

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Nato a Modena nel 1947, Walter Siti è uno dei più celebri scrittori italiani contemporanei. Con Resistere non serve a niente (Rizzoli) ha vinto il Premio Strega nel 2013. Il suo nuovo saggio è Pagare o non pagare (Nottetempo)

«Ognuno di noi dà al proprio tempo un valore. Anche economico. Questo naturalmente si applica anche al modo in cui spendiamo o non spendiamo. Ecco perché ci sono comportamenti che ancora oggi mi stupiscono, come la protesta sui social dopo l’aumento dell’abbonamento di Amazon Prime. Il costo annuale ora è di circa 36 euro, quindi circa 10 centesimi al giorno. Il fatto che molte persone abbiano passato del tempo a discuterne dimostra che il loro tempo vale ancora meno.

«Se chiedessi soldi per i contenuti web farei fuggire i lettori più fedeli.
E romperei il patto che ho con loro» (Salvatore Aranzulla)

Da imprenditore penso anche che ci sia molta irriconoscenza e troppo rancore da parte del consumatore, il quale a volte dimentica che produrre qualità, come nel mio caso un sito autorevole, richiede indubbiamente dei costi. Poi, nella pratica, penso che se il mio sito diventasse a pagamento i miei lettori probabilmente si sposterebbero altrove. Anche io non sarei disposto a pagare per notizie che sino a poco prima ho potuto leggere gratuitamente. L’unica cosa che permette la sopravvivenza di questa economia “gratis” è la fidelizzazione: io sento di aver fatto una sorta di patto con i miei lettori, rimasti fedeli nonostante la comparsa di pubblicità senza la quale il mio sito non esisterebbe. Le conseguenze? La fascia di mezzo scomparirà. Il mercato online sarà deciso dai colossi o dalle piccole imprese di cui ci si fida».

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Nato a Caltagirone nel 1990, oggi Salvatore Aranzulla è il più famoso divulgatore e blogger informatico italiano. Guru del web e imprenditore, è in libreria con Il metodo Aranzulla (Mondadori).